014. La Cooperazione

14. Il principio di cooperazione


"...il PRINCIPIO DI COOPERAZIONE: il tuo contributo alla conversazione sia tale quale è richiesto allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dallo scambio linguistico in cui sei impegnato. Una volta assunto come accettabile un principio generale di questo tipo, si possono forse distinguere quattro categorie sotto l'una o l'altra delle quali cadranno certe massime e submassime piu specifiche, tali che la loro osservanza porti, in generale, a risultati conformi al principio di cooperazione (pdc)...chiamerò queste categorie Quantità, Qualità, Relazione e Modo. La categoria della Quantità riguarda la quantità di informazione da fornire, e sotto a essa cadono le massime seguenti: 1) dà un contributo tanto informativo quanto è richiesto (per gli scopi accettati dallo scambio linguistico in corso) 2) non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto. Sotto la categoria della Qualità cade una super-massima "tenta di dare un contribuot che sia vero" e due massime più specifiche: 1) non dire ciò che credi essere falso 2) non dire ciò per cui non hai prove adeguate. Sotto la categoria della Relazione collocherò una massima sola, cioè "sii pertinente". Infine sotto la categoria del Modo, che interpreto come relata non (come le categorie precedenti) a ciò che viene detto, ma piuttosto a come si dice ciò che viene detto, includo la super-massima "sii perspicuo" - e varie massime come 1) evita l'oscurità di espressione 2) evita l'ambiguità 3) sii breve (evita la prolissità non necessaria). sii ordinato nell'esposizione. E quante altre potrebbero risultare necessarie (Paul Grice, "Logic and Conversation")


013. Fallacia Naturalistica

13. La Fallacia Naturalistica

(si veda anche il Nr. 212 sul sofisma che mira a creare confusione in relazione al concetto di pari opportunitá ed "imposizione" essere/dover essere)

"....buona parte degli argomenti tradizionalisti o conservatori sono basati sulla confusione tra il fatto e il diritto, come stanno le cose e come dovrebbero stare (a favore dei primi termini). Tipici esempi sono gli argomenti bioetici, basati su una discutibile identificazione di naturale e morale...il richiamo al naturale e all'innaturale, come bussola morale ed etica, nasconde un duplice inganno. Il primo riguarda la natura misteriosa della natura...un frullato è naturale o artificiale? e la farina? Poi naturale è da considerarsi opposto a culturale o ad artificiale o a entrambi?...Il secondo inganno riguarda la coincidenza di naturale e buono: anche il cianuro, infatti, è naturale, così i funghi velenosi. Chi gradirebbe un risotto con amanita virosa?" (da "Verità Avvelenata") (***)

La fallacia naturalistica consiste nel derivare le norme dai fatti, ossia dire o pensare: poichè è così, così deve essere. Evidentemente il fatto che una cosa sia in un certo modo non significa che così anche debba essere.  La fallacia viola la legge di Hume  secondo la quale il dover essere e l'essere costituiscono regimi separati : non è consentito il salto logico tra proposizioni indicanti fatti e proposizioni indicanti valori (il dover essere).

La formulazione della legge può essere trovata nel Trattato sulla natura umana, libro terzo, sezione prima:

" In ogni sistema morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l'autore va avanti per un po' ragionando nel modo più consueto, e afferma l'esistenza di un Dio, o fa delle osservazioni sulle cose umane; poi tutto a un tratto scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule è o non è incontro solo proposizioni che sono collegate con un deve o un non deve; si tratta di un cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia, la più grande importanza. Infatti, dato che questi deve, o non deve, esprimono una nuova relazione o una nuova affermazione, è necessario che siano osservati e spiegati; e che allo stesso tempo si dia una ragione per ciò che sembra del tutto inconcepibile ovvero che questa nuova relazione possa costiture una deduzione da altre relazioni da essa completamente differenti"

La fallacia naturalistica applicata 1) alle donne e 2) agli omosessuali:  


 
1) La fallacia naturalistica applicata alle donne può essere a mio parere confutata attraverso questa semplice considerazione: i genitali sono muti, vale a dire nulla dicono su quello che "debba" essere la funzione sociale, politica, economica o caratteriale della donna (o dell'uomo). Il fatto che essa sia predisposta alla maternità è rilevante nello stesso modo in cui un uomo, fisicamente, sia predisposto alla paternità.Trattasi di una semplice descrizione del nostro ciclo e capacità riproduttive. I termini maschio e femmina quindi non possono che indicare un tale ciclo e tali capacità, laddove a valere è l'unicità di ogni singolo individuo, originale e irripetibile e soprattutto non incasellabile a priori in un "dover essere".
Una dimostrazione per assurdo potrebbe consistere nell'affermare che la donna, sulla base della muscolatura meno sviluppata, sia "per natura" destinata a svolgere ruoli di comando e dirigenza mentre l'uomo destinato esclusivamente a lavori di fatica. Le assurdità cui si potrebbe giungere per "via naturale" sono infinite.

Si tratta inoltre di operare un fondamentale salto cognitivo dal concetto di alterità a quello di differenza.

molto bello questo articolo:


Fallacia naturalistica e tema "identità di genere":

"Il sesso riguarda le differenze biologiche ed anatomiche tra maschio e femmina (livelli ormonali, organi sessuali esterni ed interni, capacità riproduttive).
L'appartenenza sessuale dipende dal 23° paio di cromosomi che nel genere umano possono essere uguali oppure diversi; nel primo caso (due cromosomi XX) l'embrione diventerà una femmina, nel secondo (un cromosoma X e uno Y) un maschio.
L'esistenza o l'assenza del cromosoma Y indirizza quindi lo sviluppo fisico dell'organismo in una direzione o nell'altra.
Donne e uomini presentano diverse caratteristiche fisiche: i maschi della specie umana sono, in media, più grandi e più forti delle femmine e queste ultime, inoltre, sono fisicamente più vulnerabili a causa delle gravidanze.
Col genere si intende invece il processo di costruzione sociale a partire dalle caratteristiche biologiche preesistenti. Questo processo definisce, rappresenta e incentiva appropriati comportamenti connessi con le aspettative sociali legate allo status di uomo o donna e rinforza socialmente e culturalmente le differenze in termini strutturali, biologiche e ormonali che esistono tra i due sessi.
L'essere donna e l'essere uomo sono quindi anche il prodotto di un processo storico che ha attraversato le diverse culture e società, all'interno delle quali sono stati diversamente definiti il maschile e il femminile, creando specifiche identità collettive e individuali attraverso modelli che includono comportamenti, doveri, responsabilità e aspettative connessi alla condizione femminile o maschile: ad essi uomini e donne sono chiamati a conformarsi.
Tali modelli possono mutare a seconda della classe sociale, dell'origine etnica, dell'orientamento religioso, dell'età e del momento storico. Su di essi si basano la divisione sessuale del lavoro e l'attribuzione delle responsabilità nella sfera familiare e nella riproduzione sociale (l'insieme cioè dei processi mediante i quali una data società si conserva e si riproduce nello spazio e nel tempo): in altre parole determinano i rapporti di potere esistenti e l'accesso alle risorse, ai benefici, alle informazioni e alle decisioni.
Il genere è un concetto "relazionale": si riferisce sia a donne sia a uomini e al loro modo di interagire. E' cioè un concetto che esprime l'organizzazione sociale del rapporto tra i sessi in termini di relazioni di accordo, conflitto, competizione.
L'orientamento eterosessuale è strettamente connesso a una finalità biologica: la sopravvivenza della specie attraverso la riproduzione. Esistono però diverse gradazioni nell'accettazione e conformità delle aspettative sociali inerenti al ruolo sessuale: essere uomo o donna può significare cose molto diverse. Tra i due estremi l'uomo più virile e la donna più femminile può esistere una molteplicità di modi intermedi di essere.
Le equazioni maschio=uomo=eterosessuale e femmina=donna=eterosessuale che teoricamente rappresentano la cosiddetta “normalità” possono rompersi in uno o più punti e non sempre vi è coerenza tra caratteristiche biologiche, identità di genere e pratica sessuale.

IMPARARE AD ESSERE DONNA
Il processo di costruzione dell'identità femminile è da sempre fortemente vincolato dal destino biologico e fisico e quindi modellato sul ruolo materno e riproduttivo: storicamente, le donne sono state orientate all’assunzione di ruoli quali l’allevamento della prole e le cure domestiche. Esistono vincoli culturali, morali ed emotivi, particolarmente forti nel contesto italiano e dei paesi mediterranei, che obbligano le donne a sentirsi responsabili dei propri familiari. Sono le donne ad adattare/vincolare maggiormente le proprie strategie esistenziali alle necessità familiari, sacrificando molto spesso i loro stessi bisogni.
La cura della prima infanzia insieme a quella delle persone portatrici di handicap e degli anziani non autosufficienti è lasciata in larga misura al lavoro familiare femminile. Il maggiore coinvolgimento materno nella responsabilità e cura dei figli è ribadito anche nella pratica giuridica quando si tratta di affidamento in caso di separazione o divorzio: ad esempio in Italia nel 1998 in circa il 90% dei casi i figli sono stati affidati alla sola madre.
Il modello di maschilità dominante ruota invece intorno ai concetti di lavoro produttivo, successo economico, aggressività, omofobia e rifiuto del femminile, pena la messa in discussione della virilità.
Le relazioni quotidiane esercitano un valore molto rilevante nella costruzione dell'identità di genere: tale processo vede la congiunta partecipazione di tutte le entità associative e di di socializzazione, private e pubbliche, famiglia, sistema scolastico, gruppo dei coetanei, mezzi di comunicazione di massa, esperienze lavorative, associative, religiose, politiche, ecc.
Attraverso l’incessante alternarsi di interazioni quotidiane gli adulti trasmettono a bambini e bambine il sistema di ruoli, valori e regole che è necessario rispettare pena la non accettazione sociale: tale atteggiamento di genitori e familiari è conseguente ai precisi modelli di genere che hanno in mente e a cui figli e figlie devono adeguarsi.
Il processo di acquisizione dell’identità di genere inizia prima della nascita grazie alla possibilità di sapere il sesso del feto prima del parto. Vengono quindi innanzitutto scelti i colori del corredo (es. rosa per le femmine, azzurro per i maschi), i vestiti, i mobili, gli arredi, i giocattoli in modo concorde rispetto all’identità di genere da costruire.
Non appena il sesso del bambino è evidente, questi verrà quindi trattato in maniera differente da come vengono trattati i bambini appartenenti all’altro sesso.
Nei bambini sono generalmente più tollerati comportamenti poco accondiscendenti, mentre ci si aspetta dalle bambine comportamenti più docili fin dai primi anni di vita. I ragazzi sono ritenuti più aggressivi fisicamente e verbalmente, più forti e amanti del rischio: la maschilità mette l'accento sulla autorealizzazione ottenuta attraverso qualità come l'indipendenza, il rischio e l'audacia. Le bambine invece sono percepite come più deboli, più dolci e docili, più inclini all'ascolto.
Nel campo dei giocattoli gli adulti tendono ad indirizzare le scelte dei figli e delle figlie in un senso o nell’altro, così mentre l’interesse per i giochi di movimento, costruzioni, puzzle e disegni è comune ad entrambi i generi, la maggioranza dei bambini giocheranno con trenini, modelli di automobili e col pallone, le bambine giocheranno con le bambole e con i giochi di simulazione delle attività domestiche.
I libri di favole, i libri illustrati e i programmi televisivi tendono anche essi ad enfatizzare le differenze. Nei libri prescolastici i personaggi maschili compiono imprese avventurose, svolgono attività all’aperto che richiedono indipendenza e forza, i personaggi femminili cucinano e puliscono o aspettano il ritorno degli uomini. Nei libri di storie per l’infanzia le donne che non fossero mogli o madri sono creature immaginarie come streghe e fate. Le stesse tendenze caratterizzano le rappresentazioni di genere nei cartoni animati, programmi televisivi e spot pubblicitari. Da indagini sui cartoni animati emergono percezioni alquanto stereotipate: i maschi sono descritti come più aggressivi e attivi e le femmine più casalinghe, interessate ai ragazzi e preoccupate del proprio aspetto esteriore. I personaggi televisivi maschili sono con molta più probabilità associati al lavoro e rappresentati in situazioni lavorative rispetto alle donne che si occupano e discorrono di relazioni private (amore e rapporti affettivi).
Nella pubblicità i livelli di strumentalizzazione sono ancora più elevati: gli spot dei detersivi o dei prodotti per la pulizia per la casa sono quasi esclusivamente associati alla figura della mamma casalinga. Pur essendo vero che altri modelli di femminilità stanno emergendo come la donna manager e la donna determinata, per quanto si sforzi di presentare una donna in carriera la pubblicità non rinuncia ai vecchi stereotipi femminili di massaia e seduttrice mostrando da un lato gli aspetti di dolcezza e femminilità e dall’altro quelli tratti dall’universo maschile di emancipazione e capacità professionali. Rimane scarna la presenza maschile all’interno di dimensioni che abbiano a che fare con il lavoro familiare e in questi casi spesso si dipinge l’uomo in maniera ridicola e irrealistica e se esegue faccende domestiche è solo sotto lo sguardo attento della moglie.
Da notare che sono in crescita gli spot che al posto del corpo femminile presentano quello maschile come oggetto del desiderio mentre vengono utilizzate sempre più immagini che contengono ambiguità di genere, figure asessuate che richiamano l’idea di omosessualità.
La situazione nei mass media è tale che una risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 5 ottobre 1995 concernente l’immagine della donna e dell’uomo nella pubblicità e nei mezzi di comunicazione invita gli stati membri a promuovere un’immagine diversificata e realistica delle possibilità e attitudini delle donne e degli uomini nella società.
Anche il sistema scolastico è portatore di stereotipi legati alla maschilità e alla femminilità. Sul piano delle scelte scolastiche restano infatti prevalentemente maschili gli istituti tecnici e professionali agrari, industriali, nautici e aeronautici mentre prevalentemente femminili quelli a indirizzo commerciale, turistico e di servizio sociale nonché i licei classici e linguistici e le scuole magistrali. Ciò si traduce in una decisa polarizzazione delle professioni: a dominanza maschile quelle tecnico produttive, fortemente femminilizzate quelle impiegatizie e connesse al lavoro di cura e quindi le professioni tipiche sono quelle delle insegnanti, impiegate esecutive, infermiere, cameriere, colf, badanti). Nella categoria degli insegnanti le donne sono nettamente prioritarie nell’insegnamento delle materie umanistiche, in minor numero nell’insegnamento di quelle scientifiche, quasi assenti nelle docenze di tipo tecnico"
(tratto dal sito animoweb)

2) la questione omosessuale.

pag. 276: "A cosa servono le Costituzioni", Cass.R. Sunstein

"...ritorno ora alla relazione tra discriminazione sessuale e discriminazione per ragioni di orientamento sessuale. Si pensa che il divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso non faccia sorgere un problema di disuguaglianza sessuale in base alla cositituzione degli Stati Uniti. Ma il divieto legale (e il tabu sociale) non potrebbe essere il prodotto del desiderio di mantenere un sistema di gerarchie tra i generi, un sistema che il matrimonio tra persone dello stesso sesso tende a indebolire complicando le idee tradizionali e ancora influenti circa la "differenza naturale" tra uomini e donne?
Come ha sostenuto in un saggio importante Andrew Koppelmann, il divieto dei matrimoni tra persone dello stesso sesso ha, rispetto alla divisione in caste in base al genere, lo stesso rapporto che il divieto di contrarre matrimoni interrazziali ha rispetto alla divisione in caste su base razziale. La migliore analogia si trova nel caso Loving v. Virginia: nel quale la corte annullo una legge che proibiva il matrimonio interrazziale. Sto parlando qui delle motivazioni concrete di questi divieti, e sto assumendo, come fa il diritto vigente, che il fatto di essere basata su su motivazioni impermissibili sia fatale per la legislazione.
Affermare cio non significa affermare che che il divieto dei matrimoni tra persone dello
stesso sesso è necessariamente inaccettabile in tutti i mondi teoricamente possibili. Ma qui la proibizione è simile a un test di alfabetizzazione che fosse motivato da un proponimento discriminatorio, o a una legge sui privilegi dei veterani che fosse mirata ad escludere le donne dall impiego. Nel presentare qui questa argomentazione, riconosco un grande debito nei confronti dell analisi svolta da Koppelmann: sebbene io aggiunga alcuni problemi relativi alla disuguaglianza e alle caste"

A questo interessante passaggio  si aggiunga la fallacia naturalistica, che per millenni ha anche giustificato la schiavitù della donna come sopra esposto  (accompagnata dalla fallacia logica del ricorso alla tradizione***: è sempre stato cosi, quindi è giusto).

 Frequente é la mancanza di nozioni generali sul tema “identitá di genere” o “sesso e genere” : il problema sará risolto anche quando si riuscirá a comprendere che i nostri organi riproduttivi sono MUTI, e che in base ad essi non è lecito prescrivere ad una persona cosa debba o non debba fare, cosa debba o non debba essere. Ció che vale è la singolarità dell' individuo, unico e irripetibile, maschio o femmina che sia,  a prescindere dagli organi sessuali, che nulla a priori dicono su quello che è e soprattutto “DEBBA” essere una persona. Seguendo tale filo logico si giungerebbe a proibire ad un sacerdote di fare il voto di castità, in quanto  gli organi genitali per il puro fatto di esistere dovrebbero  essere usati (confusione tra essere - uno stato di fatto -  e dovere essere quindi).   Inoltre difficile chiarire quali danni alla società (il limite della  libertà individuale è infatti  costituito dal rispetto della libertà e della persona altrui)  deriverebbero dalla regolarizzazione delle convivenze omosessuali. L' omosessualità non è contagiosa, un matrimonio non indurrebbe gli eterosessuali a diventare omossessuali con conseguente estinzione del genere umano….ció che si aggiungerebbe sarebbe solamente una importantissima tutela per persone che si amano e vivono insieme magari da una vita, non potendo peró ereditare, ricevere la pensione di reversibilità, non potendo decidere sulla sepoltura dell' amato o richiedere informazioni mediche. Ad avere il diritto di farlo sarebbero solo parenti, magari sgraditi,  che potrebbero anche impugnare con successo eventuali testamenti. 

Lo storico discorso di Hilary Clinton sui diritti degli omosessuali:

http://www.certidiritti.it/notizie/comunicati-stampa/item/1324-certi-diritti-pubblica-la-traduzione-italiana-integrale-del-discorso-di-hillary-clinton-per-la-giornata-mondiale-dei-diritti-uman


Un bel rovescismo sul tema:
di estremo interesse questa  “applicazione rovescista” del concetto di fallacia naturalistica, a dimostrazione  di chi siano i veri eredi del gioco sofistico.
Se da una parte è vero che presentare l’omosessualitá come di derivazione esclusivamente genetica possa comportare una maggiore accettabilità da parte della popolazione “normale”  (o meglio da parte dei fondamentalisti religiosi) e quindi una minore discriminazione,   e che forse non sia pienamente dimostrato trattarsi in tutti i casi di origine esclusivamente genetica, è anche vero che viene commessa fallacia naturalistica esclusivamente da parte di coloro che la applicano, ovvero COSTRINGONO terzi alla modifica di un comportamento  o alla repressione di una determinata  inclinazione, su base “naturale”. Vale a dire: nessuno costringe un omosessuale ad essere tale, uguale come questo giustifichi la propria inclinazione. Mentre l’omosessuale viene posto di fronte alla negazione di diritti fondamentali esattamente sulla base di tale fallacia. Non ho letto lo studio in originale, certo è che il commento da questo link, nelle sue implicite ed esplicite  conclusioni,  costituisce un mirabile esempio di rovescismo sofistico

(***)

In realta con la fallacia naturalistica non viene messo in discussione il naturalismo (si veda ultimo capoverso di questo brano di D. Dennett tratto da L’idea pericolosa di Darwin) : “i filosofi fanno una distinzione tra individuare le condizioni necessarie e individuare le condizioni sufficienti per una certa cosa e in questo caso applicare tale distinzione può realmente chiarire la situazione. Un conto è negare che un insieme di fatti relativi al mondo naturale sia necessario per motivare una conclusione di carattere etico e tutt’altro conto è negare che esista un insieme di fatti di quel genere che sia sufficiente a motivarla. Secondo il postulato dominante se si rimane saldi nel regno dei fatti relativi al mondo cosi come è, non se ne troverà mai alcun insieme che si potra considerare come un insieme di assiomi da cui sia possibile dimostrare in maniera definitiva una particolare conclusione di carattere etico (…)”. “l’etica deve basarsi in qualche modo su una valutazione della natura umana, sul senso di ciò che è o potrebbe essere, un essere umano e su ciò che un essere umano potrebbe voler avere o essere. Se il naturalismo è questo allora non è una fallacia: nessuno potrebbe negare seriamente che l etica è sensibile a questi fatti che riguardano la natura umana. Si puo dissentire su dove sia necessario cercare i fatti piu significativi sulla natura umana, nei romanzi, nei testi religiosi, negli esperimenti psicologici, nelle indagini antropologiche. La fallacia non sta nel naturalismo ma piuttosto in qualsiasi tentativo ingenuo di precipitarsi dai fatti ai valori (…).”




Si veda anche il numero 133 del Menu

012. Non l'ho detto

12. Non l'ho detto

"Non ho detto quel che ho detto, e se l'ho detto, ho travisato le mie parole".

Spesso accade che un politico o un "giornalista" proceda ad affermazioni insensate o false per fare leva sull'emozionalità o istinti più bassi della popolazione. Spesso accade in relazione a temi riguardanti l'omosessualità o il razzismo in generale. E' interessante notare come le "rettifiche" a posteriori (sempre vengano fatte) in nulla intacchino il messaggio originario, in quanto l'informazione insensata o falsa nel frattempo avrà comunque fatto tutto il danno che doveva fare. Sarà cioè diventata verità condivisa, e avrà dato luogo e forma a una realtà a cui chiunque in seguito potrà fare riferimento. A quel punto il falso da me prodotto sarà entrato nella realtà sociale, costruita, in cui tutti tranquillamente vivono.

E' la tecnica del doppio messaggio: i propri adepti sanno bene trattarsi di convinzione radicata (per loro verità), gli altri vengono messi in tal modo a tacere, "non l'abbiamo detto".


Si veda anche il punto 66 del Menu: fallacia di implicatura.


011. Opinionista

11. L' OPINIONISTA


La scappatoia (pseudo)- "relativista" : “Beh, questa è solo la tua opinione”. Essa può interrompere e sabotare una catena logica. Un’altra frase comune è “ognuno ha la propria opinione” – come se ogni opinione avesse lo stesso peso probatorio.

La verità spesso non è il fine dell'indagine. Il fine dell'indagine, quand’anche non sia quello di mentire o ingannare, è raccontare una storia, semplicemente intrattenere. Specchio di questo atteggiamento è il trionfo della figura dell'opinionista: anneghiamo in una quantità di pareri e idee senza una bussola in grado di orientarci correttamente verso i fatti. E mentre l'opinionismo è spacciato come simbolo della libertà di parola e della democratica espressione dei propri giudizi, in realtà eleva il parere a verità , laddove per parere intendo nel caso specifico qualsiasi asserto che non necessiti di essere argomentato nè logicamente nè sulla base di fatti e soprattutto non necessiti di essere sottoposto a seria verifica tra le parti.

E a questo punto è oltremodo necessaria anche la definizione di VERITA', che esiste eccome, e che io intendo, abduttivamente, come la spiegazione di volta in volta migliore sulla base dei dati a nostra disposizione, sempre aggiornabile e revidibile al comparire di nuovi. Ma soprattutto sempre sottoposta a verifica: in quanto verifiche, test, sperimentazioni non sono certo dominio esclusivo delle scienze cosiddette esatte ma di ogni campo dello scibile umano, laddove a variare è solo il metodo della verifica, ma non la necessità di questa.

Dal gruppo “Illumanesimo”, Meditando con Andrea:

“La verità e il consenso politico. Quello del giudizio personale elevato a verità è sempre stato un problema della politica ( ma quanto è inevitabile?). Il politico, che per natura dovrebbe essere ( ma quando mai!) semplicemente l’espressione dei cittadini, diventa il creatore di verità superficiali più basate sulle proprie convinzioni, sempre poco fondate su dati oggettivi e molto su credenze personali, e idee mediocri, che su conoscenze specifiche ed approfondite. Questo si è ampliato molto con la politica del Leader, con i capibastone carismatici in grado di catalizzare su di sè il consenso indipendentemente dalle competenze reali. Il partito di vecchia concezione poteva, teoricamente, compensare alle mancanze dei più con la pluralità e i gruppi di lavoro specifici ( ma anche questo si era drammaticamente deteriorato con la politica del consenso degli ultimi tempi ).

Se oggi volessimo ipotizzare una politica futura basandoci su questo aspetto dovremmo gettare sconsolatamente la spugna. Io voglio invece essere ottimista e vedere il classico bicchiere mezzo pieno andando a spingere lo sguardo la dove il futuro è già presente: nei giovani. Vedo in loro molta voglia di riportare nella politica il concetto di competenza, e vedo riaffiorare il concetto di gruppo a discapito di quello del Leader ( capisco che parlare di questo oggi può sembrare un paradosso ma forse non lo è ). Se la politica riuscirà a scrollarsi di dosso il problema del consenso nel futuro vedo molti spiragli per far affermare sempre di più la competenza e meno le opinioni di questo o quel “IO” che spara verità assolutamente astruse da conoscenze reali dei problemi in discussione.

In questo spiraglio intravedo anche un concetto affine a quello illumanista specialmente quando tenta di riportare la polis più vicina al concetto di espressione di quella che è la reale e fondata conoscenza di un determinato momento storico allontanandola da quello di polis intesa come semplice espressione di una media teorica la quale, di solito, tradisce persino i successi di conoscenza raggiunti dal progresso dell’uomo pur di raccogliere il consenso invece di partire da quelli per cercare di superarli e ampliarli in favore di tutti. Il male quindi è, credo, la necessità del consenso che diventa il faro di ogni azione. Un sistema dove questa necessità sia emarginata la politica potrà diventare il luogo dove le conoscenze reali sono le verità da cui partire per organizzare, senza l’assillo della ricerca del consenso, il bene comune”

Riporto qui anche un bellissimo spunto sul tema di Seralisa Carbone, tratto dal seguente sito:
http://www.film.it/televisione/notizie/molto-opinionismo-per-nulla

"Al principio, fu Costanzo. Suo il merito di aver contribuito a creare il mediatico neologismo, sua l’idea di trasformare un vago parere in pregevole perizia formato vip: fu proprio il Costanzo Show a legittimare una nuova leva di generici del pensiero catodico, comunemente nota al pubblico televisivo come “opinionisti”. Mestiere dell’improvvisazione, l’opinionismo nacque proprio dall’autorità che la tv concesse all’ipotesi qualunque, al “nulla” precotto e somministrato da una confortevole seduta che, dallo storico studio del MCS, approdò sui gradini della De Filippi per esplodere furiosamente con reality e trasmissioni di approfondimento tematico.

Ogni spettatore sa di essere un potenziale testimone di quanto accade in tv e, poiché dell’evento mediatico –un po’ come col maiale- non si butta via nulla, l’idea di far confluire questo processo di immedesimazione in una tipologia che convalidasse il “parere”, promuovendolo a professione, sedusse non poco. Dalla genesi in poi, folte schiere di sconosciuti si accomodarono ad impartirci la loro sui fatti del cosmo televisivo, sino ad arrivare ai nostri giorni: Selvaggia Lucarelli e Raffaello Tonon (foto) dimostrano concretamente come la tv trasformi persone sbucate dal nulla -ma dotate di un corretto uso della grammatica italiana- in veri e propri vippastri all’ultimo grido, cosa  d’altronde certificata dal reclutamento all’interno de La Fattoria che ne determina lo step successivo.

Il più attento pubblico della tv commenta che saremmo tutti bravi a svolgere una simile attività, specialmente in forza del fatto che, proprio come il dente del giudizio, anche l’opinionista è privo di radice: non esiste qualifica critica che attesti l’abilitazione al pensiero espresso in tal sede. Specialisti della mera supposizione, gli opinionisti potrebbero tuttavia essere suscettibili di separazione in due distinte categorie: quella degli “intellettualmente onesti”, che cavalcano l’onda della notorietà senza fregiarsi di essere consegnatari di raffinate teorie o sofisticati idealismi –a cui gli stessi Lucarelli e Tonon sembrano appartenere-, e quelli che, un po’ come Paolo Del Debbio, rivestono di intellettualismo il corpo esangue  del luogo comune.

L’opinionista di Secondo voi, infarcisce di superflue arringhe al sapore scaduto quella terra di nessuno tra Tg5 e Beautiful: un insipido antipasto all’ora delle soap, che non aggiunge nulla ai molti già sfruttati temi di pubblico interesse, da Del Debbio trattati con un semplicismo spesso demotivante per lo spettatore, ormai cosciente della differenza che un buon dibattito televisivo dovrebbe fare. Il pensiero vola ironico allo Gnocchi di Quelli che il calcio, acuto parodista di un Del Debbio ritratto con la finta libreria messa in spalla a mo’ di zaino: la stessa che, alle 13,35, fa da sfondo ai suoi grandi temi del giorno, mentre noi, storditi da tanto opinionismo per nulla, tentiamo invano di goderci i pochi residui di un’indigesta pausa pranzo"

 

 

 

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