062. Inno alla Conoscenza



 De brevitate vitaeSeneca, Oscar Mondadori, 2010, cap. 14, pag. 39 - 43

"Tra tutti, i soli che dispongono del proprio tempo sono quelli che si dedicano all'esercizio della sapienza, sono i soli a vivere davvero. Infatti non hanno cura soltanto della loro vita: aggiungono ogni tempo al proprio. Di ogni anno trascorso prima di loro fanno tesoro. A meno di non essere sommamente ingrati, quegli illustri fondatori di riverite dottrine sono nati per noi, ci hanno preparato a vivere la vita. Il loro impegno ci conduce a mete straordinarie restituite dalle tenebre alla luce, nessuna epoca ci è preclusa, siamo ammessi a tutte, e se piace uscire dalle miserie della umana fragilità per mezzo della grandezza d'animo, molto è il tempo per il quale spaziare.

Ci è possibile dialogare con Socrate, dubitare con Carneade, trovar pace con Epicuro, dominare la natura umana con gli stoici, oltrepassarne i confini con i cinici. Poichè la natura ci permette di accedere a questo possesso comune di ogni tempo, perchè non ci volgiamo con tutto l'animo, movendo da questo volgere di tempo misero e caduco verso ciò che è immenso, che è eterno, che possiamo dividere con gli spiriti migliori?

(...) possiamo dire che attendono a impegni degni di questo nome coloro che ogni giorno vorranno coltivare la più stretta intimità con Zenone, Pitagora e Democrito e gli altri sacerdoti della conoscenza, e con Aristotele e con Teofrasto. Nessuno di loro si negherà, nessuno di loro congederà chi gli fa visita senza averlo reso più felice e amico, nessuno di loro vorrà mai che riparta a mani vuote.

E' possibile frequentarli di notte come di giorno.

Nessuno di loro ti costringerà a morire, tutti te lo insegneranno;

nessuno di loro consumerà i tuoi anni, tutti aggiungeranno i loro ai tuoi;

nessuna conversazione con loro sarà foriera di pericoli, non pagherai la loro amicizia con la vita, l'omaggiarli non sarà costoso. Prenderai da loro tutto ciò che vorrai. Non saranno loro a impedirti di attingere a tuo piacimento.

(...) tutti i secoli gli obbediscono quasi fosse un dio. E' trascorso un certo tempo? lo fa suo col ricordo. E' presente? Se ne avvale. Ha da venire? Lo pregusta. La capacità di riunire insieme tutte le dimensioni del tempo gli rende la vita lunga"

(pag. 1)

"non abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo molto"

(pag. 9)

"Sentirai i più dire: < a 50 anni mi ritirerò a vita privata, a 60 anni abbandonerò le cariche pubbliche>. Ma, alla fine, chi ti garantirà che avrai ancora da vivere? Chi farà in modo che le cose vadano secondo i tuoi piani? Non ti vergogni di riservarti gli avanzi della vita e di destinare alla cura dello spirito quel solo tempo che non si possa impiegare in alcuna altra pratica? Come è tardi cominciare a vivere davvero, proprio quando dalla vita ci si deve congedare?! Quale grave oblio della nostra mortalità il rinviare i buoni propositi ai 50 o 60 anni e voler cominciare una vita autentica a partire da quella età che pochi sono riusciti a raggiungere?"

061. Il corpo della donna





della filosofa Tamar Pitch

 Il corpo delle donne non è della Nazione

 "La  nazione ha molto a che fare con le donne, ma niente con la loro libertà. Per questo il senso della manifestazione del 13 febbraio, o almeno il senso che sembra esserne stato ricavato in area Pd, è problematico, se non preoccupante. Sia in alcuni interventi precedenti che in molti commenti successivi, donne e Italia, donne e nazione vengono evocate come indissolubilmente legate, così che le donne simboleggiano il vero cuore della nazione (anzi, il suo «corpo»), ciò che la salverà. E del resto che fosse in gioco non soltanto la «dignità delle donne», ma quella della nazione è stato detto esplicitamente più volte.

In questo, ahimé, non vi è nulla di nuovo. Tutti i nazionalismi hanno usato e usano questa retorica, compresi naturalmente i fascismi. Non è difficile capire perché. Le donne, i loro corpi, rappresentano e custodiscono la «tradizione», e insieme ne promettono continuità e futuro. Per questo il dominio su di loro e i loro corpi è essenziale, così come, complementarmente, l'esclusione degli «altri» (maschi) dall'accesso a questi corpi stessi. Sessismo e razzismo (e omofobia) non solo vanno insieme ma sono in certo senso presupposti e risultati della nazione.

A differenza dello stato moderno, concepito come prodotto artificiale di un patto tra individui razionali a tutela dei loro diritti, la nazione è intesa e vissuta come prodotto storico, se non addirittura naturale (in ragione dei «legami di sangue»), che si pone prima dello stato e da esso deve essere rappresentata e difesa. La nazione non è la somma di individui la cui unica caratteristica è l'essere dotati di ragione. È, in certo senso, il suo esatto contrario, ossia il prodotto organico di relazioni tra soggetti incarnati e storicamente determinati, relazioni basate sulla comunità di lingua, di storia, di tradizione: e di «sangue». Se, dal punto di vista storico, molte nazioni moderne sono piuttosto il prodotto che non il presupposto dello stato, esse vengono invece vissute come ciò che lo legittima. In linea di principio, lo stato è inclusivo: chiunque può aderire al patto. La nazione invece è esclusiva: vi si appartiene per nascita. Lo stato prescinde dai corpi, la nazione ne è costituita. Lo stato non ha un corpo (e non vive, direbbe Brecht, «in una casa con i telefoni»), la nazione invece sì.

Quali corpi, quale corpo? I corpi degli uomini, votati al sacrificio supremo per difenderla, i corpi delle donne, da cui dipende il suo futuro. Il Corpo della nazione (basta vedere l'iconografia) è invece esclusivamente femminile, così come, è ovvio, la mente è maschile. Metafore, certo, ma performanti. E pericolose. In primo luogo per la libertà femminile, che si fonda precisamente sulla possibilità e capacità di disporre di sé, della propria sessualità e fertilità. Ora, è proprio questo che è impossibile per la tenuta e la continuità della nazione: il corpo delle donne deve essere soggetto a questi imperativi (tenuta e continuità), e questi imperativi, se possono mutare di contenuto a seconda delle esigenze (fare tanti figli o non farne affatto, per esempio), lo separano dai desideri e dalla volontà della singola, per sottometterlo a quelli di chi decide per il «bene della nazione».

Può capitare, ed è capitato, che si faccia appello alle donne e se ne richieda una sorta di protagonismo per «la salvezza» (o «la dignità») della nazione. Ciò non implica, perlopiù, un effettivo liberarsi delle donne: come si è visto spesso nei casi delle lotte di liberazione nazionale. Finita la mobilitazione, alle donne si impone di nuovo di essere le custodi di ciò che rende la nazione tale, le tradizioni, i legami di sangue, e di piegare i propri desideri , in primo luogo rispetto alla sessualità, in funzione di ciò che la nazione e il suo futuro richiedono. Insomma la nazione, la patria, la comunità, l'identità culturale sono costitutivamente nemiche della libertà femminile. Per la nazione, la patria, ecc., le donne devono essere mogli fedeli e madri degli uomini. Al massimo, madri della patria, cui ricorrere in tempi bui.

Ciò che questi soggetti collettivi (nazione, patria, comunità) escludono è la singolarità. Le donne sono un tutto unico e indifferenziato, la cui soggettività è bensì incarnata, ma nel senso che essa è interamente determinata dal corpo, il quale a sua volta è letto in base alle funzioni che gli sono attribuite. Abbiamo criticato lo stato e il diritto moderno, l'idea di libertà e il paradigma politico che vi sono connessi perché si fondano su un soggetto neutro e disincarnato. Tuttavia, se stato e diritto moderni sono pur stati strumenti di emancipazione, la nazione, viceversa, è sempre stato un ostacolo per noi e per la nostra libertà.

A ben vedere, ambedue, stato e nazione, poggiano precisamente su quelle dicotomie dominanti nel pensiero europeo che abbiamo cercato di decostruire inaugurando una idea e una pratica della politica diverse: soggetto-oggetto, natura-cultura, mente-corpo. Oggi, almeno in Italia, ci ritroviamo strette tra un'ideologia dominante che definisce la libertà personale come possibilità di scelta (razionale) di una «mente» separata dal corpo, il quale può dunque (e deve) diventare una merce come tutte le altre e un'ideologia confusa (e pericolosa) in cui si mescolano la tendenza a negare la singolarità e a dissolvere le differenze in un tutto indistinto, con il rischio di ricondurre il femminile a una qualche essenza consegnata nel corpo. Un corpo decoroso, beninteso. È questo impasto indigesto di decoro e maternage ciò che ci aspetta dopo Berlusconi?"

Nota di Silvia: Chiaramente la manifestazione è stata un evento positivo, anche se appunto non ancora del tutto esente da stereotipi.

 

060. Sulla Meritocrazia



Quante volte sentiamo dire che il merito dovrebbe essere alla base delle scelte sia nel pubblico che nel privato. È impossibile pero instaurare un tale sistema meritocratico qualora la società stessa non sia in grado di riconoscerlo. E riconoscerlo significa avere conoscenze adeguate a tal fine. Quindi senza conoscenza... niente meritocrazia.

La democrazia per funzionare necessita non solo di una base etica comune ma anche delle indispensabili conoscenze di base al fine dell’esercizio di quella che rappresenta una delle sue funzioni fondamentali: il controllo sull’operato del governo e non solo, controllo che non puo essere affidato unicamente ad un partito di opposizione, bensi all’intero corpo di elettori, dal momento che qualsivoglia partito potrebbe trasformarsi, in assenza di controllo, in una casta. Una democrazia quindi sará tanto piu valida quanto piu i cittadini saranno in grado di valutare nel dettaglio le decisioni prese in nome della collettivita, il “merito” dei propri rappresentanti, il voto altrimenti perderebbe completamente di significato. In pratica quanto detto comprende in sé anche il concetto di coscienza civica, che forse mai nessuno quanto Pericle ha saputo esprimere:

"…Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. …. Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla."

http://www.avvocatoandreani.it/documenti/varie/Pericle-discorso-agli-ateniesi-461-AC.htm

ovviamente questo discorso puo essere e va esteso a tutti campi della vita in società, dalla selezione di un candidato nel contesto di un concorso alla scelta di un manager nel privato e via dicendo. A questo fine quindi vanno create o potenziate le basi per la diffusione di tali conoscenze basilari, sia attraverso il sistema scolastico che attraverso i media. In una deriva oclocratica, laddove il potere è unicamente interessato all’autolegittimazione, tale aspetto sará completamente ignorato. Ho l’impressione che nel contesto scolastico si tenda ad un’estrema specializzazione, per cui magari avremo individui che sanno vita morte e miracoli su un atomo o un bullone, ma nulla sulla nostra costituzione o sui principali fondamenti della logica.
 

059. La fallacia antropocentrica

Il ragno sulla SS 230

appunti di Silvia dal luglio 2010


Da qualche giorno intorno all'alba mi succede di notare per qualche attimo un ragno, appeso al proprio filo, tra il finestrino e lo specchietto esterno sinistro retrovisore.

Quando scendo dalla macchina è sparito.

Oggi intorno all'alba sulla statale 230 viaggio a ca. 90 Km/h. Attraverso il finestrino vedo il ragno appeso al filo. Lo osservo mentre guido, mi concentro su di esso. E' incredibile, il filo, l'unico filo, non si rompe e il ragno non cade. Sarebbe un attimo fermarsi, prendere delicatamente il ragno e posarlo sull'erba sul ciglio della strada. Non lo faccio e aumento la velocità. Il filo è piú forte dell'acciaio e piú flessibile della canna al vento, il ragno vibra tremendamente, ma resta appeso.

Mi fermo nel parcheggio. Non ho ancora aperto la porta. Il ragno fulmineo corre verso lo specchietto esterno sinistro retrovisore ed entra al suo interno, nella scatola nera che supporta lo specchio. La casa, quella di un essere con materia cerebrale pari forse a qualche frazione di grammo e di cui nonostante ció non conosciamo quasi nulla, tranne il fatto che abbia costruito e si sia costruito come complesso universo.

Come ci si sente ad essere un ragno?

Penso automaticamente a Darwin, e a questo essere che rappresenta una delle molteplici perfezioni del cosmo, il prodotto di millenni di evoluzione che lo rendono assolutamente unico nel suo genere, per cui esso potrebbe a buon diritto dire

"ladies and gentlemen, I am the only being who can do that!! I am the Only One!!"

Il conducente potrebbe ribattere che non sa leggere e scrivere,  fare una radice quadrata, pregare,  o che la sua "coscienza" non è sufficientemente sviluppata...o non sa distinguere tra il  bene e il male....all'improvviso mi sento pervasa e schiacciata dalla incommensurabile tracotanza e stupiditá umana e moralmente annientata dal girone infernale dei centrismi e specismi che mi hanno indotto ad aumentare la velocitá, senza che questo fosse necessario alla mia sopravvivenza.

Quanto vale la vita di un ragno? più di quella della mosca, meno di quella dell'uomo e quanto quella degli altri ragni?

"La seta secreta dai ragni può essere considerata superiore a qualsiasi materiale sintetico finora elaborato per leggerezza, tenacia ed elasticità....Alcuni ragni cacciatori hanno particolare abilità ed intelligenza nell'adoperare varie tattiche per sopraffare la preda, mostrando anche di saperne imparare di nuove se occorre. Alcune specie hanno ad esempio modificato il loro aspetto prendendo le sembianze esteriori di formiche al punto da essere facilmente confusi con una di loro.] Le ragnatele sono molto variabili in forma, quantità di tela adoperata e grandezza. Sembra che le prime forme ad essere adottate siano state quelle orbicolari; le specie che ancora le adoperano sono poche: la maggior parte dei ragni oggi esistenti preferisce estendere la propria tela e renderla quanto più aggrovigliata possibile allo scopo di massimizzare il volume d'aria in cui può imbattersi un insetto...
il comportamento sociale è variegato: da una semplice tolleranza di vicinato, come nell'aggressiva vedova nera, ad una vera e propria caccia coordinata fra più esemplari e successiva suddivisione delle prede catturate...Questi ragni riescono ad avere una vista così acuta grazie ad una serie di lenti, una retina composta di quattro strati e l'abilità di girare dappertutto i loro occhi integrando le immagini di tutti in una sola...Ad esempio, anche se il Theridion nigroannulatum appartiene ad un genere che non ha altre specie sociali affini, costruisce delle colonie che possono contenere molte migliaia di individui che cooperano nella cattura delle prede e nella spartizione del cibo..."

Il prof. M. Trainito ebbe modo di commentare (genialmente) la mia esperienza nel seguente modo:

CUI BONO?

"Questa nota è una ripresa del discorso aperto qui da Silvia Molè in una sua riflessione sui ragni, le specie cosiddette inferiori e la fallacia antropocentrica. Credo che si possa ulteriormente approfondire la questione puntando l'attenzione su chi o cosa trae il vero vantaggio evolutivo dalla coevoluzione di certe specie. Spesso, infatti, il modello evoluzionista sembra imbattersi in rompicapo tremendi, che hanno tutta l'aria di essere degli enigmi, se non addirittura dei controesempi, per la felicità degli avversari di Darwin. Ma poi si scopre che la spiegazione vera è una conferma sconvolgente della teoria, che addirittura modifica la stessa percezione delle possibili ragioni della nostra esistenza come specie.

Vi propongo uno di questi 'enigmi', invitandovi a fornire un modello di spiegazione evoluzionista, che all'apparenza sembra davvero impossibile da trovare (il problema è guardare nella direzione giusta). Non essendo un biologo, so la risposta da lettore dilettante. Quello che mi interessa di più è il lavoro cognitivo di fronte a un problema nel quadro di uno schema esplicativo già disponibile (in questo caso l'evoluzionismo). Poi fornirò le opportune indicazioni bibliografiche per chi volesse approfondire.

Allora, vengono osservati dei topi che mostrano un atteggiamento assurdamente temerario di fronte ai gatti, rischiando seriamente la vita.

Domanda: perché si comportano così? Quale beneficio evolutivo possono mai trarre da un comportamento che mette così a rischio le loro probabilità di riprodursi?

Prima di continuare a leggere vi invito ad abbozzare una risposta evoluzionistica, che certamente faticherete a trovare. La cosa straordinaria è che la risposta c'è ed è univoca, chiara e darwinianissima. Non c'è bisogno di un dio della biogenetica, ma di umanissimi ricercatori forniti di laboratori d'analisi in cui esaminare con cura topi apparentemente spacconi. In questo caso, certamente, anche l'uomo trae un vantaggio, che però non riguarda la scoperta di una "terapia genica per il trattamento delle fobie". Si tratta di un vantaggio conoscitivo rivelatore e amaro, nel senso che tale conoscenza comporta un ridimensionamento della sua arroganza metafisica. Scoprendo questo genere di cose, insomma, l'uomo si rende conto, tra l'altro, che lui ha una funzione biologica molto diversa da quella voluta dai miti religiosi o dai sogni megalomani di molti filosofi. Le implicazioni di questa risposta (e di varie altre risposte analoghe) danno ragione all'idea dell'uomo, e della vita in genere, che hanno pensatori come Cioran e il suo amico Ceronetti.

Le soluzioni solitamente tentate tradiscono una cosa diffusissima anche nella comunità scientifica (oltre che naturalmente in quella religiosa e in quella filosofica, dove praticamente regna sovrana): ovvero quella che si potrebbe chiamare l'assunzione dogmatica e inconscia di una ontologia da senso comune. Voi continuate a pensare che il problema riguardi gatti e topi: ma in questo scenario, Tom e Jerry sono meno che delle comparse. I veri protagonisti sono altri.

Dunque, è il momento di rivelare l'arcano, che, come detto, è rigorosamente darwiniano. Come accennavo, l'insegnamento che io traggo da questo esempio (uno tra i moltissimi) riguarda il modo in cui il neo-darwiniasmo ci invita a guardare alle forme viventi e al loro posto nel mondo. Vi accorgerete che avevo già abbondantemente suggerito la direzione dell'analisi del problema disseminando vari indizi, che però sono rimasti nell'ombra proprio perché abbiamo la irrefrenabile tendenza a dare per scontata l'ontologia del senso comune, secondo la quale il mondo è popolato di cose a nostra misura. Noi sappiamo, per averlo studiato a scuola, che esiste il mondo dei batteri e degli altri microrganismi, ma ci viene molto difficile prenderlo in considerazione in contesti che non siano specialistici, anche quando dobbiamo pensare in termini scientifici (in questo caso evoluzionistici) una situazione problematica relativa a esseri viventi familiari (come il gatto e il topo). In altre parole, siamo portati a semplificare il mondo sovrapponendovi quello più familiare, fatto di oggetti di media grandezza. La cosa interessante è che, conosciuta la risposta, essa ci sembra tremendamente ovvia sul piano scientifico, anche se lontanissima dal senso comune.
Riporto per intero il passo di Daniel Dennett (filosofo della mente darwinista, nonché amico di Richard Dawkins, il teorico dei geni e dei memi egoisti) in cui si trova il 'caso', peraltro citato en passant (Dennett sta parlando del significato evolutivo della religione come memeplesso che vive egoisticamente da parassita nella mente umana, spingendo per la propria fitness le persone a fare volentieri cose - come viaggi massacranti, donazioni e persino guerre - che altrimenti non farebbero o farebbero con estrema riluttanza):

Dovremmo preparare una rete molto estesa quando andiamo in cerca dei beneficiari, perché sono spesso elusivi. Supponete di imbattervi in topi che stranamente rischiano la vita in presenza di qualche gatto e di porvi la domanda: cui bono? Che beneficio traggono i topi da un comportamento tanto temerario? Cercano di mettersi in mostra per far colpo su potenziali compagni o si tratta di un comportamento che aumenta le loro chance di accedere a preziose fonti di cibo? Sembrano domande corrette, ma forse state cercando il beneficiario sbagliato. (...) esiste un parassita, il Toxoplasma gondii, che può vivere in molti mammiferi, ma per riprodursi ha bisogno di raggiungere lo stomaco di un gatto e quando infetta un ratto ha la vantaggiosa proprietà di interferire col suo sistema nervoso, rendendo il ratto iperattivo e relativamente intrepido - e dunque molto più esposto al rischio di essere mangiato da qualche gatto nelle vicinanze! Cui bono? A trarne beneficio non è il ratto infettato, ma la fitness del Toxoplasma gondii, cioè la sua capacità di adattamento e il suo successo riproduttivo (Zimmer, 2000).
(Daniel C. Dennett, Rompere l'incantesimo. La religione come fenomeno naturale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007, pp. 68-69. La fonte citata da Dennett è: C. Zimmer, "Parasites make scaredy-rats foolhardy", in «Science», 28/7/2000, pp. 525-526).

Un altro parassita caro a Dennett è il Dicrocoelium dendriticum (oltre al citato luogo di Rompere l'incantesimo, si veda anche il primo paragrafo del sesto capitolo de L'evoluzione della libertà, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004, in part. pp. 231-232), che fa impazzire le formiche 'facendole' salire 'inutilmente' in cima ai fili d'erba - dove non c'è cibo - e aumentando così la probabilità che esse finiscano nello stomaco di una mucca o di una pecora, dove il parassita potrà completare il suo ciclo riproduttivo.

Chi volesse avere qualche ulteriore ragguaglio sul Toxoplasma gondii (che attacca anche l'uomo) può consultare la voce relativa su Wikipedia.

Ebbene? Visto che anche l'uomo è il paradiso per colonie di parassiti biologici (e culturali, come le ideologie e le religioni), non è che, invece di essere figli di Dio o pastori dell'Essere, siamo in buona parte il prodotto adattivo e lussuosissimo di miriadi di microrganismi che lavorano come "orologiai ciechi"? Altro che scimmie: se fossimo nient'altro che scimmie evolute, come vuole il darwinismo popolare, sarebbe già un onore e potremmo sognare di essere una corda tesa verso l'oltreuomo, come diceva quell'ottimista inguaribile di Nietzsche. Ma anche questa è una pia illusione, a quanto pare".

Riporto ancora uno splendido brano di un antropologo della mente italiano, il prof. A. Bertirotti:

Appunti preliminari per una valutazione universale sui contenuti della Mente umana

"La specie umana, Homo sapiens sapiens, rappresenta, nel panorama dei sistemi di vita presenti nella natura conosciuta, qualche cosa di interessante, anche in nome delle problematiche di cui è portatrice all'interno di se stessa.

Non affermo certo una novità quando penso di attribuire all'essere umano una specificità del tutto originale, rispetto ad altre specie viventi. Eppure, questa affermazione, verso la quale di primo acchito tutti possiamo essere d'accordo, evidenzia invece una presunzione antropologica, che definirei antropocentrica, arbitrariamente fondata e, direi, oggi persino sbagliata.

In natura tutto ciò che vediamo è al massimo della sua espressione evolutiva, e questo massimo è in stretto rapporto con le condizioni ambientali all'interno del quale quella particolare forma di vita si esprime. In altri termini, un lombrico è espressione del suo più alto livello di perfezione attuale, e nel suo essere tale rappresenta ciò che di meglio la natura ha pensato all'interno dell'ecosistema nel quale il lombrico stesso è inserito, ossia la sua particolare nicchia ecologica. Lo stesso discorso lo possiamo applicare nei confronti di qualsiasi altro essere vivente e, direi, anche verso la flora. Un cetaceo che girovaga fra l'Oceano indiano e le acque del Giappone e che viene regolarmente cacciato dall'uomo, il quale si ritiene superiore solo perché tecnicamente in grado di soggiogare la vita altrui, ha raggiunto, all'interno della sua nicchia, ciò che di meglio la natura potesse pensare, allo stato attuale dell'evoluzione, per la sua sopravvivenza e riproduzione.

Si tratta dunque di pensare all'evoluzione nell'ottica di una ramificazione, proprio come accade per i rami di un albero che, pur essendo originati da un unico tronco, si sviluppano a grandezze e lunghezze diverse fra loro. Questa immagine, ossia quella dell'albero, è particolarmente efficace perché esprime anche il funzionamento fisiologico di un'altra ramificazione importante per tutti i mammiferi: il polmone con i bronchi.

Se tutto questo è vero, l'idea che l'uomo rappresenti qualche cosa di superiore rispetto ad altri sistemi di vita è non solo sbagliata ma foriera di atteggiamenti che si possono rivelare, proprio come sta accadendo in questo periodo storico universale, decisamente negativi. La pretesa originalità umana rispetto ad altre forme di vita dovrà dunque essere considerata facendo riferimento ad altre caratteristiche, che rendono l'uomo in effetti diverso rispetto alle altre forme di vita. Nello stesso tempo, è necessario ricordare, proprio sulla base di quello che abbiamo appena affermato, che ogni sistema vivente potrebbe legittimamente rivendicare per se stesso una pretesa identica di originalità rispetto alla nostra specie. Di fatto, avviene così, anche se non possiamo pretendere di parlare con il nostro linguaggio rivolgendoci ad uno scoiattolo. Se potessimo farlo, molto probabilmente lo scoiattolo ci racconterebbe che lui si sente molto diverso da una ghianda, che è il suo nutrimento, oppure da un vitello che pascola nello stesso ambiente in cui egli vive.

Cosa voglio dire? Con molta semplicità che i concetti di universalità e originalità sono espressione della stessa identica natura dell'essere in vita. Ogni essere vivente, se fosse in grado di raccontarci che cosa pensa di se stesso, non solo sarebbe dotato di coscienza e di linguaggio, ma grazie a questi due elementi ci direbbe, con orgoglio, di essere molto diverso da noi. Questo ragionamento purtroppo, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, è solo patrimonio di coloro che sono dotati di coscienza e linguaggio, ossia della nostra specie. Allora, ci possiamo domandare, per quale motivo si sono attribuite facoltà di originalità ad altre forme di vita quando queste non possono essere originali come l'uomo? Per un semplice motivo: il ragionamento appena esposto è utilizzato da ogni singolo essere umano per valutare gli altri suoi simili, pretendendo di essere contemporaneamente identici e diversi. Identici, quando conviene affermare di appartenere tutti ad uno stesso genere e diversi quando è necessario affermare che qualcuno sia migliore e qualcun altro peggiore.

Scopriamo dunque che la richiesta di reciproca similitudine è una necessità umana, della nostra coscienza, ed è dunque conseguenza del sentirci tutti come appartenenti alla categoria dell'umanità, mentre la richiesta di originalità è legata al tentativo di rendere il nostro sentimento di identità personale un qualcosa che fa sentire unici, assolutamente irripetibili.

Io sostengo che la storia della nostra specie, dal punto di vista del funzionamento della mente, si è dispiegata oscillando fra queste due categorie della mente: l'universalità della similitudine e l'universalità della differenza. Siamo dunque in presenza di tre elementi cardini: i concetti di universo, di similitudine e di differenza.

Il problema della globalizzazione, ridotto alla sua essenza mentale, è costituito dalla dialettica che intercorre fra questi tre concetti che, in quanto tali, sono vere e proprie categorie della mente umana, all'interno delle quali anche la scienza si muove, unitamente alla metafisica."

Trovo oltremodo interessante notare come anche le piante siano ormai uscite dallo stereotipo dell' "automatismo" e come ciò dovrebbe dunque indurci a riflettere più seriamente non solo sul mondo animale non umano ma sull'intero ecosistema:

"Un numero sempre crescente di studi indica come le piante superiori siano in grado di ricevere segnali dall’ambiente, di (ri)elaborare le informazioni ottenute e di calcolare le soluzioni adatte alla loro sopravvivenza. Facendo ciò esse manifestano una capacità di apprendimento e di decisione finora ritenuta appannaggio esclusivo del mondo animale. Di queste ricerche avanzate, che aprono affascinanti nuove prospettive sul mondo delle piante, si occupa una disciplina nata da poco più di due anni, la neurobiologia vegetale"

http://www.entecarifirenze.it/inizb_linv.phtml

 

 
sulle "comparazioni":

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=10833

“(…) la «pluralità cognitiva», che si basa sul riconoscimento della diversità delle intelligenze animali, perché differenti sono stati i problemi adattativi che le diverse specie hanno dovuto affrontare nel corso dell'evoluzione. Come Howard Gardner con la teoria delle intelligenze multiple ha in buona sostanza sancito l'incomparabilità tra le diverse facoltà intellettive, mandando in soffitta il vecchio concetto di quoziente intellettivo, allo stesso modo non ha senso paragonare la cognitività delle diverse specie, dal momento che essa è stata chiamata a produrre prestazioni correlate a sfide adattative particolari. L'intelligenza del gatto, per esempio, tutta tesa a risolvere problemi e perciò di tipo enigmistico, è completamente diversa da quella del cane che è di tipo sociale, modellata cioè sulla capacità di muoversi correttamente nelle relazioni di gruppo. Ancora per buona parte inesplorato, il tema della mente animale rappresenta insomma un capitolo di ricerca importante. E di certo le sorprese non mancheranno.”

 

(si veda sul tema, a completamento,  anche il Nr 63 e 150  del Menu)

 

 

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