070. Etica della guerra e civili



da "Conoscenza come Dovere", del prof.  Lorenzo Magnani (Università di Pavia), 2005 Associated international academic publishers, pag. 141

Versione integrale in lingua inglese:
http://www.cambridge.org/gb/knowledge/isbn/item1174589/?site_locale=en_GB

"(...) ho illustrato che nell'ambientalismo radicale l'ecotage è visto secondo la prospettiva della tradizione delle minoranze, perchè piante e a animali, non protetti e che stanno per essere distrutti, sono 'minoranze'. Inoltre, se l'io è considerato come ecologicamente esteso e, come molti sostengono, fa parte di un io ecologico ampio, che comprende l'intera comunità biologica, allora la difesa delle 'cose' non umane è semplicemente una 'autodifesa' e, conseguentemente, il disobbedire a certe leggi è giustificato.

Un modo di pensare analogo ci può aiutare nel rivedere il nostro modo di affrontare il problema della guerra e della minaccia delle forze militari. Nel caso di alcune guerre contemporanee portate dai paesi occidentali, le forze militari hanno sistematicamente distrutto sfortunati complessi locali di cose, animali ed esseri umani. Mi pare che essi non solo non vengano difesi, ma non siano neppure considerati da una prospettiva morale che li renda depositari di abbastanza valore da non essere distrutti. Paradossalmente, su di essi viene proiettato un valore morale e pedagogico solo  d o p o  che sono diventati corpi morti e luoghi distrutti: a quanto pare, i corpi morti e i palazzi distrutti possiedono un valore che non è invece disponibile nel caso di persone incolumi e città intatte.

Ciò che voglio dire è che la tradizione dell'etica della guerra non pone sufficiente attenzione concettuale e strategica al problema dell'immunità di coloro che non combattono. Io credo che ciò sia avvenuto a causa di una distorsione del 'rispettare le persone come cose' di cui ho parlato in questo libro. Ironicamente nella guerra gli esseri umani sono moralmente 'rispettati' come persone solo dopo essere diventati oggetti inanimati, cioè quando sono morti, proprio come accade nel caso di certi animali e luoghi che acquisiscono valore quando sono estinti o distrutti. In qualche senso le bombe cosiddette intelligenti sono finalizzate alla minimizzazione di questo bizzarro modo di 'rispettare le persone come cose' mirando solo a target militari e cercando di limitare le perdite umane civili.

Non desidero qui trattare il problema della Guerra Giusta o del 'quando combattere'. Vorrei piuttosto focalizzare l'attenzione su alcuni problemi relativi al 'come combattere' e al motto 'rispettare le  persone come cose'. Sappiamo che il principio dell'immunità dei civili afferma che la vita e le proprietà dei civili non dovrebbero essere oggetto di violenza militare, ma sfortunatamente ci sono idee molto conflittuali intorno a cosa può essere qualificato come 'civile' e cosa come 'militare'.Io sostengo che possiamo considerare gli oggetti non protetti - certi oggetti, animali ed esseri umani vulnerabili durante le guerre - delle vere e proprie minoranze, proprio come gli ambientalisti hanno fatto nel caso di piante e animali minacciati. Alla luce del paradossale 'rispettare le persone come cose' il problema del 'come combattere' potrebbe acquisire una nuova valenza morale e portare a rivedere il problema dell'etica della guerra giusta.

Coloro che rifiutano di riconoscere il problema dei danni collaterali, si creano una sorta di rifugio psicologico dagli orrori della guerra e trovano sollievo in questa denegazione; ciò li induce anche a sottovalutare il problema dell'immunità dei civili. Ci si ricollega a questo punto con il problema della cattiva fede, che ha giocato un ruolo centrale in questo capitolo: il rifugio psicologico di cui abbiamo appena parlato corrisponde, in una prospettiva individuale, alla costruzione di un altro sè, meno sensibile agli orrori della guerra. Nelle guerre vengono uccisi degli esseri umani e questo è un pensiero troppo opprimente per alcune persone, che preferiscono quindi giocare il ruolo fittizio della cattiva fede piuttosto che accrescere il proprio grado di consapevolezza riguardo la complessità della situazione della guerra. Si conserva e si salvaguarda così l'ignoranza sul problema dell'immunità dei civili ed è proprio tale ignoranza che a sua volta alimental'angoscia e di conseguenza la cattiva fede.

Inoltre l'ambiguità del rifiuto dell'idea dei potenziali danni collaterali può anche essere incorporata in un'ideologia oggettiva sulla guerra che così finisce per essere oggettivamente disponibile, a portata di mano, perchè fa parte della cultura immagazzinata in dispositivi e in supporti esterni (le altre persone,i libri, i media ecc.) di una collettività sociale. Si può quindi trovare là fuori disponibile e adottare questa strumentazione ideologica esterna e ri-rappresentarla all'interno degli individui per implementare la condizione della cattiva fede. E' del resto un tipico meccanismo della cattiva fede quello di essere intrecciato con delle controparti sociali-culturali oggettive. Va detto che la diffusione all'interno di una collettività culturale, di molte condizioni individuali di cattiva fede fa sì che esse siano ben presto esternalizzate e cristallizzate in racconti ideologici condivisi da una parte della collettività. Ciò testimonia la presenza di un continuo rimando tra realtà interna ed esterna e illustra la genesi del carattere ingannevole delle ideologie a partire dalla cattiva fede.

Le guerre costringono le nostre culture ad affrontare il fatto che si attribuisce un valore e un rispetto più grande a carri armati e ad armi tecnologiche e anche agli interessi economici e alla globale commodification dei bisogni socio-culturali, che non a sistemi viventi e socio-naturali intatti, e ad esseri umani, armati o meno. Ovviamente il problema di costruire e scoprire nuovi modi per garantire la libertà e la prosperità delle nazioni e della collettività, attraverso nuovi tipi di guerre o nuovi metodi non bellici per risolvere i conflitti continua a rimanere aperto"

069. Né né ma




Riprendo, interpretandola liberamente, la riflessione di un mio interlocutore su un tema di attualità, la guerra in Libia.

"Né con la Nato, né con Gheddafi", sono quelli che "Né con Saddam, né con Bush". Forse i nipoti di quelli che "Né aderire, né sabotare" ,e, quando la si mette come scelta, l'"altro" è, guarda un po', sempre più brutto. Resta il fatto che la sinistra di queste parti talora usa la formula "né-né" non tanto per non scegliere - sa di contare ben poco - quanto per esorcizzare il prevedibile sviluppo degli eventi.  Il nè-nè sgrava dalla responsabilità di compiere analisi di situazioni complesse, e di chiamare le cose con il loro vero nome. Subentra poi il "ma" nel senso che pur rimanendo la dicotomia "in negativo"  si finisce per giustificare passivamente o permettere di fatto  una delle DUE soluzioni, presa da altri, senza averne analizzato e proposto le possibili alternative.

In questo tipo di posizione, riguardante la "scelta",  riscontro due fallacie complementari:

1) "Per ottenere la premessa è utile interrogare ponendola accanto al contrario. Per esempio se si deve ottenere che bisogna sempre obbedire al padre, si chiede "bisogna dunque sempre obbedire al padre o bisogna non obbedirgli?" e "si dovrà ammettere che molte volte molti sono molti o che sono pochi?", giacchè, se è vero che l'alternativa è necessaria, apparirà maggiormente che sono molti. Quando poste accanto ai loro contrari, infatti, le cose sembrano agli uomini minori o maggiori, peggiori o migliori"
(Aristotele, "Confutazioni Sofistiche, Ed. Laterza, pag. 49)

2) la falsa dicotomia:
La fallacia del falso dilemma è molto più diffusa di quello che si creda, perchè si nasconde spesso in proposizioni che a prima vista suonano perfettamente coerenti. Consideriamo le risposte a queste due affermazioni:

A – Credo che il capitalismo abbia assunto nella nostra società una forma disumana”
R – “E allora cosa dovremmo dire dei morti fatti dal comunismo?”
A – “La democrazia moderna ha fallito il suo compito”
R – “Ma sì, torniamo pure alle dittature che torturano la povera gente”

Ambedue le risposte presuppongono che vi siano solo due alternative al problema, il che in ciascun caso non è assolutamente vero.

Nel caso specifico poi, comunque la si pensi, indubbiamente esistevano alternative alla guerra.

068. Realtà 1 e 2

Esaminiamo esclusivamente la logica di tale situazione: si sta bombardando la Libia, ma il nostro Capo di Stato, G. Napolitano, afferma che non siamo in guerra. Franca d'Agostini a pag. 89 di Verità Avvelenata parla di realtà 1 e realtà 2 e porta come esempio il film Flightplan del 2005, dove ad una donna si fa credere che la propria figlia non sia mai stata sull'aereo. La "verità pubblica" può arrivare a farci dubitare di un'esperienza appena avuta.

"Dal romanzo di Ethel Lina White, The Wheel Spins, del 1934, Hitchcock trasse il film The Lady Vanishers (1936), di cui Anthony Page nel 1979 fece un remake, con lo stesso titolo. La storia è in breve questa: una donna incontra un'anziana signora su un treno. Le parla, prende un tè e insieme a lei nella carrozza ristorante, quindi entrambe ritornano nel loro scompartimento e la donna si addormenta. Quando si sveglia è scomparsa. La donna non si preoccupa più di tanto, ma il tempo passa e la signora non si ricompare. Quando, perplessa, chiede notizie agli altri passeggeri, tutti asseriscono che non c'è mai stata nessuna anziana signora. La cosa procede per un buon tratto di tempo, nessuno a quanto pare ha mai visto quella signora, e la donna almeno per un attimo finisce per dubitare di essersi sbagliata. In un altro film, Flightplan (2005), diretto da Robert Schwentke, con JOdie Foster, una madre con una bambina di sei anni sale su un aereo, quindi si addormenta. Quando si sveglia la bambina è scomparsa. La cerca dappertutto senza trovarla, e ciò che più conta, nessuno l'ha vista: a un certo punto le fanno credere che la figlia non è mai stata sull'aereo, essendo morta qualche giorno prima. In realtà, in entrambi i casi si tratta di un inganno: la signora c'era, la bambina era vivissima. Ma l'inganno è così ben congegnato che le due protagoniste arrivano a dubitare di se stesse, e delle proprie percezioni.

Queste due storie ci dicono che esistono almeno due realtà a cui si riferiscono i nostri discorsi veri. La prima è la realtà delle cose che percepiamo o che abbiamo percepito, chiamiamola realtà 1, la seconda è la realtà che ci viene riferita dall'accordo pubblico, la realtà2. Ora, le due storie ci dicono che la realtà2 può influire sulla percezione e sul ricordo della realtà1, fino al punto da cancellarla: credevo che fosse così, ma poichè tutti dicono che non è così, forse non è così. La suggestione degli altri può arrivare al punto di farci dubitare di una esperienza appena avuta, come nel caso di The Lady Vanishes, o anche far dubitare una madre dell'esistenza della propria figlia, come nel caso di Flightplan.

Chiamiamo verità pubblica la verità riconosciuta tale da una comunità di persone. La verità pubblica ha un'importanza speciale in sede argomentativa, anche se è verità relativa a una realtà2 che può benissimo non essere vera realtà, ma una finzione costruita ad hoc per le più diverse oppurtunità"

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201103202044-ipp-rt10044-libia_napolitano_non_siamo_in_guerra_no_allarmismi

 

Affermazioni del tipo “i nostri aerei sono lí ma non sparano” oppure “non siamo in guerra” possono essere anche considerati tentativi per far superare alla popolazione il fenomeno noto come

dissonanza cognitiva

http://it.wikipedia.org/wiki/Dissonanza_cognitiva

 

067. Asintoticamente




Ho trovato logicamente molto interessante il commento di un mio interlocutore, R. Papini, al brano, di cui nel seguente link, vertente sull'esistenza di Dio:

http://www.uncommons.it/pagine/articolo.php?id=123

 

"Leggere l'articolo è stato come percorrere una strada con continui saliscendi (nel senso questo mi piace, questo no, questo sì) fino a quando l'affermazione "Gli atei sono i veri bigotti del XXI secolo" mi ha colpito violentemente mettendo in moto qualcosa dentro di me. "Come mi definisco io?" mi sono alla fine chiesto. Ricordo che negli USA qualche anno fa è stata dato inizio ad un associazione di Brights, persone "illuminate" dalla ragione che non volevano però sentirsi menomate dalla privazione contenuta nel prefisso della parola a-teo. Allettante molto allettante ma non era l'abito adatto a me. Alla fine mi sono inventato "asintoticamente ateo" con riferimento al valore limite matematico dell'asintoto a cui una funzione si avvicina sempre di più senza però mai raggiungerlo. Le conoscenze scientifiche nel corso del tempo hanno sempre ridotto lo spazio della metafisica e del trascendente e le neuroscienze, seppure ancora fortemente limitate negli strumenti d'indagine e di fatto ancora ad uno stadio che senza tema di smentita si può definire primitivo, hanno scavato nella cosiddetta coscienza trovando ogni giorno delle basi fisiche, a cui ancorare enti e oggetti che con tanta disinvoltura in passato sono stati attribuiti (e molte persone lo fanno tutt'ora) alla metafisica, alla religione, allo spirito, etc. Lo spazio per la metafisica si è ridotto e continua a ridursi. Questa è la strada che mi trovo a percorrere e voglio seguire anche se non raggiungerò mai l'asintoto. L'asintoto probabilmente non esiste anche se è sempre davanti a me e io continuo ad avvicinarmi ad ogni momento della mia vita" (R. Papini)

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