074. Declassamento del narcisismo

Sul Corriere della Sera del 25 gennaio 2011 si poteva leggere il seguente articolo intitolato

"Narcisismo troppo diffuso. Adesso non è più una malattia - Manuale dei problemi psichiatrici: gli esperti Usa lavorano al declassamento a 'tratto della personalità'

MILANO - Presto il narcisismo potrebbe non essere più considerato una malattia a sé, ma solo un "tratto" di un problema mentale più ampio. Gli esperti che negli Stati Uniti preparano la nuova edizione del Dsm (Diagnostic Statistical Manual), il manuale che definisce i principali problemi psichiatrici, spiegano che il possibile declassamento sarebbe frutto della eccessiva diffusione del problema nella società. La decisione, precisa il quotidiano Boston Globe, non è ancora stata presa, ma la maggioranza del comitato dell'American Psychiatric Association, che sta studiando la questione, è favorevole all'inserimento del narcisismo all'interno di un quadro più ampio, in cui diventerebbe uno di una serie di sintomi: «Un narcisista è qualcuno che ha un irrealistico senso di superiorità, accompagnato da una totale mancanza di empatia - spiega John Oldham, uno dei membri della commissione -, le compagnie americane sono piene di persone con questo problema». TRATTO DELLA PERSONALITÀ - Nei prossimi mesi dovrebbero partire le prime sperimentazioni della nuova classificazione, in cui il problema viene descritto come un tratto della personalità che può avere diversi gradi di gravità: «La necessità di riclassificazione viene dal fatto che molte persone possono essere narcisiste e comunque vivere tranquillamente in società - conclude un altro membro, Carl Bell dell'università dell'Illinois - questo potrebbe essere tranquillamente considerato come una tendenza della personalità». (Fonte: Ansa)"

Mi viene quindi spontaneo rimandare al punto 17 di questo sito (si tratta di un mio appunto di cui non ricordo  la fonte, probabilmente un articolo sull'antipsichiatria):

"What if the values and norms of a given society are irrational? Can mental health consist of being well-adjusted to the irrational? What about Nazi Germany, for instance? Is a cheerful servant of the Nazi state - who feels serenely and happily at home in his social environment - an exponent of mental health?" - "e se i valori e le norme di una società esistente fossero irrazionali? La salute mentale può consistere in un buon adattamento all'irrazionale? E come la mettiamo con i nazisti ad esempio? Un fedele servitore del nazismo - che si sente sereno e felice nella propria patria e nel proprio ambiente - è un esponente della salute mentale?"

Sul tema narcisismo ho trovato molto interessante il seguente link:
http://www.aipt.it/Italiano/Pubblicazioni/LBG_ApprIntNarcisismo.htm
e soprattutto la seguente definizione:

"Fortemente radicato nella società moderna, il narcisismo può essere letto come un inquinamento ecologico della psiche collettiva, che è nutrita da miti socioculturali perniciosi, contrari alla salute mentale e all’evoluzione della coscienza verso forme di vita più creativa, serena e consapevole. Il carattere narcisistico è emblematizzato dal bisogno inappagabile di essere sempre considerato migliore. Associato ad intensa ambizione e a scarsi valori, il carattere narcisistico è polarizzato su miti esteriori di successo, ricchezza, prestigio e su obiettivi superficiali di bellezza e potere...Il fanatico innamoramento di sé, tipico del narcisista, e l’ostinata negazione dei propri difetti, limiti ed errori, porta al rifiuto del sentimento della colpa reale, all’incapacità di amare, allo sviluppo del cinismo, dell’indifferenza e della manipolazione, nonché a gravi disarmonie nell’equilibrio psicosomatico"

A questa presentazione potrei aggiungere che si tratta di una patologia forse tipica o particolarmente accentuata nel contesto della deriva capitalistica odierna, improntata all'individualismo più estremo e quindi all'ideologia del successo.

La questione è oltremodo interessante anche da un punto di vista logico, trovandoci di fronte a mio parere ad una combinazione di fallacie o anche particolari bias cognitive, per quanto riguarda il declassamento a tratto della personalità: ricorso alla popolarità (tutti si comportano in questo modo quindi questo modo di comportarsi non può essere particolarmente errato ), System Justification (il desiderio e la necessità di considerare l'opinione dominante come quella giusta), dissonanza cognitiva con relativo "accomodamento".

 

 

073. Modi di scrivere

Sul numero attuale (marzo-maggio 2011)  della rivista filosofica  Diogene Magazine vi è un'interessante intervista a bell hooks. Ne trascrivo una parte che ritengo di importanza fondamentale, in quanto riguarda anche il nostro quotidiano lavoro di assimilazione, produzione e ridistribuzione della conoscenza attraverso t u t t i  i media che abbiamo a disposizione. Ovviamente, alle tematiche indicate dalla hooks, si possono e debbono aggiungere tutte quelle che interessano noi, qui ed ora:

"è essenziale pensare a certi modi di scrivere come forme di attivismo politico. Che
importanza ha lo scrivere di decolonizzazione se gli unici a leggere le nostre eleganti
teorie sono ragazzi privilegiati nelle migliori università? Ci sono masse di persone di
coloro che soffrono per un razzismo interiorizzato, il nostro lavoro non inciderà mai sulle
loro vite se non lo portiamo fuori dall'accademia. Ecco perchè penso che i mass media siano
così importanti. Le riviste popolari, e la televisione devono essere viste come veicoli
centrali per disseminare il lavoro intellettuale. Stiamo parlando di una cultura in cui
milioni di persone non leggono nè scrivono. Se voglio raggiungerli devo trovare il canale
adatto. Partecipo a molte più trasmissioni radio di quelle che vorrei, ma lo faccio perchè
la radio ha ancora un suo spazio nelle vite di molti operai. E la cosa mi affascina
moltissimo. Ho la sensazione che il significato del sacrificio sia andato perso. Quando
guardo alle lotte per i diritti civili, sono impressionata dalla volontà delle persone di
sacrificare il proprio comfort, o benessere, per portare un cambiamento"

072. I giovani prima??



Ho trovato molto interessante il seguente articolo riguardante i trapianti. Istintivamente concordo sulla "soluzione attuale", anche se la breve spiegazione offerta da Marino non mi sembra sufficiente. Con la preziosa collaborazione dei miei interlocutori sul gruppo fallacie logiche sono giunta ad alcune riflessioni (a fondo pagina), per quanto provvisorie e aggiornabili al comparire di nuovi dati, o nuovi punti di vista, dal momento che la questione è tutt'altro che semplice.

"Bioetica - Trapianti: Prima i giovani?" (di Ignazio Marino, L'Espresso, 07.04.11)

"E se le regole per la distribuzione degli organi venissero capovolte? Se ne discute negli USA dove l'organismo che coordina le donazioni (UNOS) ha proposto che i reni prelevati dai donatori migliori possano essere trapiantati ai pazienti in condizioni di salute meno gravi e più giovani, in modo da rendere più efficace il trapianto date le maggiori probabilità di sopravvivenza a lungo termine del paziente. Tutto il contrario di quanto accade oggi: gli organi sono attribuiti in base al tempo passato in lista d'attesa per cui i più ammalati hanno migliori possibilità di ricevere un organo. Le reazioni sono ambivalenti: da una parte c'è chi condivide la proposta perchè gli organi sono pochi ed è meglio vadano a chi ha maggiori possibilità di vivere a lungo. Dall'altra invece, c'è chi non ammette che l'età possa essere un fattore di discriminazione. Oggi un sessantenne grazie ad un trapianto di rene può ambire a una vita normale per almeno vent'anni. Perchè togliergli questa opportunità? E' giusto cambiare le regole in nome di un pragmatismo concreto ma forse esasperato? La medicina dovrebbe chiedersi quale sia la cosa più giusta da fare, non solo la più conveniente"

Un pò di brainstorming quindi, partendo più a monte. Dal valore che attribuiamo alla vita umana. Possiamo dire che la vita di un bambino è più importante di quella di un anziano o di un adolescente? E da qui trarne precetti sul diritto di vita o di morte? A mio parere no, se non altro in quanto in ogni stadio della nostra vita proviamo o possiamo provare dolore (è ciò che accumuna tutti gli animali umani e non umani) ed in ogni stadio della nostra vita elaboriamo informazioni orientandoci al futuro, per il quale è nostro diritto batterci.

Se qualcuno desidera sacrificarsi per un altro individuo, giovane o vecchio che sia, indubbiamente encomiabile, ma non è suo dovere, non è tenuto a farlo. Partendo da questi presupposti mi pare giusto che ciascuno abbia pari diritto di accedere ad una "fonte di salvezza", nel caso specifico un trapianto. Per cui il criterio della temporalità della domanda mi pare equo. Quello delle pari opportunità. Escluderei  da tale temporalità casi di gravi malattie parallele ( > aumento considerevole della probabilità della morte) che rendano praticamente inutile il trapianto. L'età non può costituire un limite, non trattandosi di malattia ed essendo assai difficile, appunto, come sottolineato nell'articolo, prevedere la morte naturale. Anche si trattasse di una persona sui 100 anni di età non si potrebbe escludere che camperebbe fino a 110, e 10 anni di vita sono un'infinità, un futuro cui abbiamo diritto. Non portatemi per cortesisa l'esempio di un nonno di 110 anni che desidera il trapianto in quanto sarebbe solo un esercizio retorico :)


Come ha fatto inoltre giustamente notare un mio interlocutore, il tema, posto in questi termini, può anche essere considerato una falsa dicotomia, in quanto ad essere valutati di volta in volta dovrebbero essere i singoli casi, laddove le variabili possono essere e sono in genere molteplici, sia da un punto di vista clinico che sociale ed etico.

Per quanto riguarda il valore della vita desidero fare ancora un parallelo tra disabili e anziani. Da diverso tempo vado affermando che in realtà un disabile viene definito tale non tanto a causa di una particolare menomazione bensì per il fatto che questa lo renda incapace di "produrre" o produrre a sufficienza. Leggevo, sempre sul numero attuale dell'Espresso, un articolo riguardante  Ma Aimee Mullins, cui sono state amputate le gambe dal ginocchio in giù. Bellissima, dotata di straordinaria volontà, ha fatto la modella (guadagni cospicui) e ha avuto successo nello sport tra le molte cose. A nessuno verrebbe in mente di guardarla con sufficienza, discriminarla e neanche definirla disabile. Perchè? Perchè nonostante la menomazione produce. E' quindi solo il successo e la produttività a determinare il valore della vita umana? La forza di volontà di questa straordinaria donna non è forse anche in parte derivata dalla volontà di riscatto in seno ad una società improntata all'etica del successo? (l'articolo da L'Espresso non parla della disabilità da questo punto di vista)

Queste sono le mie riflessioni sul tema, provvisorie e ben volentieri aggiornabili al comparire di nuove considerazioni da parte vostra.

 

071. La Purificazione

La questione relativa a Roberto De Mattei (che non considero campione rappresentativo di un cristiano), il quale a proposito dello Tzunami afferma che è stata un’esigenza della giustizia di Dio, un CASTIGO (*)  e che per i bimbi innocenti morti nella catastrofe accanto ai colpevoli (ma colpevoli di cosa?) si è trattato di un battesimo di sofferenza con cui Dio ha inteso purificare le loro anime mi ha indotto alla seguente riflessione:

Mi è venuto cioè in mente Schopenhauer, che mette in luce l'assoluta indifferenza della natura nei nostri confronti e di tutti gli altri esseri viventi (abbattimento dell'antropocentrismo), e forse vedendo giusto afferma che appare chiaro dove vada l'individuo (impulso sessuale per riprodursi) ma non appare chiaro dove vada la specie. Trovo questo passo eccezionale:

"...osservate l'insetto sul vostro cammino: una piccola, inconscia deviazione del vostro piede decide della sua vita o della sua morte. Guardate la lumaca, sprovvista di qualsiasi mezzo per fuggire, per difendersi, per mimetizzarsi, per nascondersi: una facile preda per tutti. Guardate il pesce, che gioca spensierato nella rete ancora aperta; la rana, che per pigrizia desiste dalla fuga, con la quale potrebbe salvarsi; l'uccello, che non si accorge del falco in volo sopra di lui; le pecore, che il lupo, nascosto nel cespuglio, tiene d'occhio e passa in rassegna...La natura, abbandonando senza riserve i suoi organismi così straordinariamente ingegnosi non solo alla rapacità del più forte, ma anche al caso più cieco, al ghiribizzo di un folle, al capriccio di un bambino, dichiara dunque che l'annientamento di quegli individui le è indifferente, che esso non la danneggia e non significa assolutamente niente; dichiara inoltre che, in quei casi, l'effetto è altrettanto irrilevante, quanto la causa...La natura si comporta con l'uomo non diversamente da come si comporta con gli animali. La sua tesi vale dunque anche per lui: che l'individuo viva o muoia le è indifferente"

(Il mondo come volontà e rappresentazione, A. Schopenhauer,  A. Mondadori Ed., Ed. 2003, pag. 1355)

Il concetto di Provvidenza mi pare quindi qui impiegato (o  "abusato"? non sono una teologa...) quale disperato tentativo di negare i dati a nostra disposizione.


(*) L'Audio originale (ne consiglio l'ascolto)  può essere ascoltato registrandosi sul sito di Radio Maria.

Un bell'articolo di Gramellini al proposito:

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=971&ID_sezione=56&sezione

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