079. Da Norimberga in poi


Desidero proporre due riflessioni dell’ Avvocato Mauro Anetrini, che considero veri Manifesti di Civiltà, un invito a rimanere sempre saldi ai propri principi etici e giuridici, anche nelle situazioni limite in cui la nostra razionalità e la nostra cultura possono venire messe a dura prova. L’Avvocato Anetrini è stato anche il promotore del ricorso (apartitico) a Strasburgo contro la legge elettorale, nota come Porcellum, che ci impedisce di scegliere liberamente i nostri rappresentanti.


Meglio il processo
"Leggo che Bin Laden è morto, nel corso di una operazione di intelligence condotta dagli americani. Dopo 10 anni, lo hanno trovato e giustiziato.
Molti diranno che giustizia è fatta e che ha avuto quello che si meritava. D'altra parte, se è responsabile di quei vili attentati, non possiamo certo dire che un brav'uomo è stato ucciso dagli imperialisti. Sarebbe ingiusto, prima di tutto verso le vittime di quegli attentati e verso tutti coloro che, a causa sua, hanno sofferto.
Quindi, non piango. Ma neppure mi rallegro, quantomeno per due buone ragioni, valide a condizione che la cattura fosse tra le opzioni concretamente possibili.
La prima. Per quanto gravi siano le colpe di un uomo, io non credo che debba essere ucciso. La forza di una democrazia liberale sta anche nella capacità di risparmiare la vita a chi, con gesti vigliacchi, la toglie.
La seconda. Io credo che dovesse quantomeno essergli riconosciuto il diritto a difendersi in un processo, pubblico e imparziale.
Lo so: lui non ha riconosciuto nessuno di questi due diritti - quello alla vita e quello alla difesa - a coloro che ha fatto massacrare.
Ma noi non siamo come lui. Noi, da Norimberga in poi, abbiamo accettato che nessuno, qualunque cosa abbia fatto, può essere sottratto ad un processo, quale che sia la pena che gli verrà inflitta.
Ciò, non soltanto perchè abbia la facoltà di esercitare l'inviolabile diritto alla difesa, ma anche perchè senta con le sue orecchie e veda con i suoi occhi quanto grave è la colpa di cui si è macchiato e possa riflettere nel tempo che gli resta da vivere.
Io credo che chiunque - anche Bin Laden - debba essere giudicato, perchè la sua pena abbia una legitttimazione anche formale e perchè, attraverso il processo, sia costretto a comprendere che, comunque sia, la giustizia non è vendetta e  i processi servono, oltre che ad accertare la verità, a dipanare i fili ( a volte troppo intricati) della nostra Storia."
 
Tu lo capiresti? Io lo capirei?
"La scena è quella iniziale del film "Il gladiatore": da una parte, l'esercito romano, agli ordini del Generale Massimo Decimo Meridio; dall'altra, l'orda dei barbari, che lanciano urla belluine all'indirizzo di un nemico più numeroso, meglio armato e strategicamente perfetto.
L'attendente di campo, si rivolge al comandante e dice: " Un popolo dovrebbe sapere quando è sconfitto".
Massimo risponde: " Tu  lo capiresti? Io lo capirei?".
Anche nella vicenda di Osama Bin Laden, noi vediamo il  mondo dalla parte dei romani e cantiamo vittoria; ci prepariamo ai baccanali.
Ma il problema resta, tale e quale era prima.
Perchè il problema non era lui, ma siamo tutti noi, di una parte e dell'altra.
Intendiamoci. A scanso di equivoci, voglio ribadire con chiarezza inequivoca la mia posizione ideologica: sono un liberale, occidentale e non ho mai condiviso il terrorismo.
Ma una cosa è il terrorismo e un'altra cosa sono le rivendicazioni che portano molte persone ad abbracciare una scelta sbagliata. So bene che ciascuno è responsabile delle scelte che fa e ne deve pagare le conseguenze, ma mi chiedo anche se davvero coloro che vivono una difficile condizione e non trovano ascolto non meritano, almeno, di potere liberamente rivendicare le loro idee, contestando le nostre.
Forse che da domani Al Qaeda non esisterà più? Suvvia, non diciamo sciocchezze: sintonizzatevi su Al Jazeera e vedrete reportages che attestano una incessante attività di reclutamento. Fanno proseliti tra i poveri e i diseredati, certo, ma anche tra coloro che non si riconoscono più in quelle che giudicano pseudodemocrazie dell'occidente.
Il problema resta, dunque. Ma, ciononostante, noi - pur fermi nelle nostre posizioni - non vogliamo neppure ascoltare le ragioni dell'altro e circoscriviamo il nostro disprezzo alla giusta esecrazione dei crimini commessi.
E, cosa più intollerabile per uomini che fanno della democrazia il modello di vita, continuiamo a chiederci perchè non si rendano conto di avere già perso.
Appunto: tu lo capiresti? Io lo capirei?"
 
 

078. Il dna dei Bin Laden


 3 maggio

 
La notizia della cattura di Osama Bin Laden è un grande evento e un grande successo per l’amministrazione  Obama, cui va tutta la mia stima.
 
Ciononostante ritengo che sia sempre doverosa la completezza e correttezza delle informazioni nei confronti del cittadino. Molti comunicati parlano laconicamente di una prova del DNA, condotta sulla base del confronto con il DNA di una sorella morta a Boston e di cui non è stato reso noto il nome,  dalla quale risulterebbe un 99,9% di certezza riguardo all’identitá della persona catturata. Da diverse fonti (*) risulta che Osama Bin Laden avesse oltre 50 fratellastri (vivi, morti? la stragrande maggioranza in linea paterna), e che fosse l’unico figlio di primo letto. Per cui sarebbe piú corretto parlare, basandosi esclusivamente su tale prova, di un’altissima probabilitá che si tratti di un fratello. Grazie quindi anche alle altre prove, sapremo trattarsi al 99,9% di Bin Laden.
 
(*)
 
Non si tratta quindi di complottismo, ma di una necessaria e imprescindibile verifica dei dati a nostra disposizione, anche e soprattutto quelli provenienti da “fonte autorevole”. E pur senza voler mettere minimamente in discussione la veridicitá dell’evento. Un invito al critical thinking, sempre.
 
4 maggio
 
un interessante link sul tema:
 
 
Sempre in data odierna leggo il seguente articolo  di uno dei miei giornalisti preferiti, Mario Calabresi (La Stampa è il giornale italiano a mio avviso piú sobrio e democratico):
 
 
Articolo del tutto condivisibile, tranne a mio avviso per quanto segue:
 
“Si potrebbe immediatamente obiettare che proprio dalla Casa Bianca venne diffusa nel mondo la bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e ricordare come Colin Powell lo sostenne all’Onu mostrando la famosa fialetta. Dovremmo però ricordare anche il discredito che colpì Bush, Cheney e Powell quando si scoprì che non era vero, e come oggi la reputazione dei tre sia a pezzi, tanto che l’ex Presidente è forse l’unico a non essere invitato da nessuna parte a tenere lezioni e discorsi. Quei discorsi che a Bill Clinton fruttano milioni di dollari l’anno”
 
Ora, la conseguenza prima di dette menzogne non è stata una tenue gogna mediatica (nessun invito a tenere discorsi…), da cui l’impressione di un “just world” (si veda la bias relativa) bensí il bombardamento di una nazione fatta precipitare in una guerra civile che ancora oggi non ha termine, con migliaia di vittime, anche civili ovviamente. Laddove le conseguenze per i promotori della menzogna dovrebbero essere di tipo penale. Quindi, errato indubbiamente il complottismo “a priori” (“tanto quelli mentono sempre”) ma del tutto giustificata e sensata la richiesta di un minimo di rendiconto.
 
 Sulla Stampa di oggi troviamo anche un’intervista alla grandissima filosofa Franca d’Agostini, dal cui ultimo libro ho preso spunto per la creazione di questo sito e che con molto piacere riporto:
 
 La filosofa D'Agostini
"Anche l'assenza genera miti e simbologie"
MAURIZIO ASSALTO
 
Opportuna o inopportuna la scelta degli americani di nascondere al mondo le immagini di Bin Laden morto? Lo chiediamo a Franca D’Agostini, docente di Filosofia della Scienza al Politecnico di Torino.
 
Secondo lei gli Usa hanno agito in modo previdente?
«In verità non conosciamo con esattezza tutte le ragioni delle autorità militari americane nel togliere al corpo del nemico ucciso il diritto (o l’onta) dell’immagine. La sepoltura in alto mare, senza lo sguardo rivolto alla Mecca, può essere interpretata come un ultimo gesto di disprezzo, un ultimo atto aggressivo. Oppure come un gesto di appropriazione: Osama bin Laden catturato e ucciso è diventato in certo modo “nostro”, un occidentale, uno di noi, e abbiamo discrezione sul rito della sua morte».
 
Lei per quale interpretazione propende?
«Direi che, più probabilmente, l’intenzione era evitare e fermare fin dall’inizio il mito, togliere l’aura al simbolo. Ma in quest’ultimo caso non è detto che la strategia funzioni».
 
Perché?
«Perché il valore mitico delle immagini non è mai prevedibile. Il mito si nutre di tracce, registrazioni, ricordi, ma non sappiamo come. L’assenza di tracce è capace di coinvolgere grandi forze simboliche, specie per quel che riguarda la morte: è l’assenza del corpo di Gesù Cristo, in fin dei conti, ad aver creato il paradigma di ogni morte mitica».
 
Ma sul piano simbolico, che cosa rappresentano le immagini dei nemici, o degli amici, morti ammazzati?
«Nell’immagine i morti non sembrano mai veramente morti. Mussolini con gli occhi sbarrati, Che Guevara fragile e addormentato. Se sono impressionanti, se sembrano davvero morti, è perché non sono più umani, non sono più quel che erano: ma se ancora li riconosciamo, allora vediamo solo un corpo in quiete. Parafrasando Hegel si direbbe: l’immagine è essa stessa già morta, la vita delle immagini consiste nel non aver vita».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


076. Globalizzazione


Tratto da “Conoscenza come Dovere”,  di Lorenzo Magnani


http://www.libreriauniversitaria.it/morality-technological-world-knowledge-as/book/9780521121798

Globalizzazione

“Sappiamo che molte lingue naturali sono ridotte ad essere lingue “della cucina”. Questo è, per esempio, il caso dell’italiano, usato una volta da Galileo – invece del latino – per inventare e presentare la scienza moderna. Il motivo è semplice e risaputo, siamo di fronte a un processo ineludibile di globalizzazione, che usa una sola lingua dominante, l’inglese. Ovviamente questo processo produce altri importanti effetti. La condizione degli esseri umani in un mondo globalizzato è descritta in un modo assai simile da molti autori: le differenze sono molto più legate all’orientamento politico di fondo che non ai contenuti. Il nuovo mondo sembra essere caratterizzato da poteri capaci di opprimere e distruggere, ma anche da grandi chance e nuove possibilità per l’umanità. Sembra che le politiche neo-liberali abbiano lo scopo di creare un sistema globale internazionalizzato di capitali e di sistemi e istituzioni bancarie sopranazionali, controllate e guidate dalle multinazionali egemoni nel mercato e da una enorme libertà di movimento dei capitali oltre i confini nazionali: come afferma Teeple “la formazione di cartelli, oligopoli o monopoli per controllare la domanda e l’offerta, i mercati geografici e i prezzi e la crescita del settore pubblicitario, che in realtà è un tentativo di creare e controllare la domanda” riflettono il piano delle multinazionali che “è semplicemente il riconoscimento che l’inaffidabilità del mercato (…) non può essere tollerata, dato l’enorme quantitativo di investimento di capitali.
Tutti sono benvenuti nell’era e nelle terre della globalizzazione, senza riguardo rispetto alla razza, al colore, al genere, all’orientamento sessuale, e cosi via. Ciò nondimeno sembra che – più o meno dalla fine degli anni settanta – questo nuovo sistema internazionale ha portato all’aumento di disuguaglianze economiche e di impieghi poco retribuiti, disoccupazione, analfabetismo, povertà, lavoro minorile, emigrazioni e trasmigrazioni forzate, lavoro non libero, subordinazione sociale delle donne (anche in quanto lavoratrici sottopagate e temporanee), guerre, massacri, corruzione, malattie.
Ancora, l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente sembrano essere fuori controllo; la sovranità degli stati nazionali sta declinando come anche lo stato sociale di matrice keynesiana e i diritti sindacali; gli standard del lavoro, del sistema sanitario, dell’assistenza sociale, dei sistemi pensionistici e dell’educazione stanno sempre più diminuendo di qualità; gli assalti legislativi ai redditi sono comuni ovunque; le multinazionali controllano una grande parte dei mass media con effetti negativi sulle culture locali; i trend di privatizzazione dei servizi pubblici come l’educazione, il sistema sanitario e le pensioni aumentano ma portano ben pochi effetti positivi per i giovani,  gli ammalati e le persone anziane; i finanziamenti statali sono sempre più dirottati a settori privati (vedi per esempio la creazione del buono scuola); i diritti civili e umani, ma anche la democrazia liberale, sono limitati e aggrediti; le vecchie strategie nazionali in favore dello sviluppo del terzo mondo sembrano distrutte. Infine, un certo senso sempre crescente di cinismo affligge le persone di qualsiasi tendenza politica.
La crisi delle istituzioni è generale, la famiglia nucleare è in crisi perché il suo valore è messo in questione e le condizioni della sua efficacia sono sempre più indeterminate “i bambini, inoltre, rimangono sotto la proprietà dei loro genitori o sotto la custodia dello stato, protetti in modo superficiale da diritti civili, e largamente non visti come una manifestazione concreta dell’umanità; tuttavia essi sono resi sempre più oggetto di marketing. Il mercato globale è una realtà, insieme con la globalizzazione della produzione, della distribuzione e dello scambio. Nuove istituzioni transnazionali – oltre alle Nazioni Unite – hanno principalmente un carattere economico e presentano problemi di legittimità democratica e politica, perché non sono l’espressione di libere elezioni, come accade per un parlamento: esse hanno un enorme potere mondiale e il risultato è qualcosa di simile a, come dice Rousseau, una governance senza governo. Certamente le persone impegnate nella difesa e nella preservazione della dignità umana sono poche e limitate nei loro progetti: mi riferisco qui per esempio a certe organizzazioni ecologiche o religiose, alle alleanze aborigene, ai gruppi di protezione dei consumatori, a quelli in difesa dei pensionati, alle associazioni civili come Amnesty International, ai movimenti delle donne, ai gruppi contro il nucleare, alle organizzazioni come Medici senza frontiere.
Gli esseri umani sono globalizzati ovunque, ma, privati di molti diritti, perché frammentati (nel senso che sono paradossalmente ostacolati nella comunicazione proprio nell’epoca dei grandi mezzi di comunicazione), non possono essere rappresentati nel teatro globale. Inoltre essi sono soggetti alla cronica corruzione, le malattie, la frustrazione, le mutilazioni cominciano prendere la forma di psicosi, dipendenza dalla droga, angoscia, noia.
(…) Mentre gli aspetti negativi della globalizzazione sono ampiamente noti (come l’attacco ai particolari aspetti delle culture e tradizioni locali, che diventano subordinate al mercato e agli interessi delle multinazionali), io sostengo che la collocazione della conoscenza al di fuori dei portatori umani (computer e altri strumenti) comporta anche qualche conseguenza particolarmente positiva. L’oggettivazione della conoscenza e delle abilità dei mediatori non umani (cose che iniziano a pensare, e cose che ci ‘fanno diventare più intelligenti’), determina differenti e contrastanti risultati: 1) la democratizzazione e la diffusione universale della conoscenza 2) l’aumento della proprietà e della capacità di trasmettere le informazioni e da parte del monopolio delle multinazionali 3) una minore enfasi sul lavoro come fonte di valore e la conseguente trasformazione delle relazioni tra lavoro e capitale. Penso che qualcosa di positivo sia incorporato all’interno di questa nuova era, a causa proprio della tendenza alla distribuzione e all’universalizzazione di informazioni e conoscenze. Questo potrebbe condurre a un’interessante distribuzione di nuove possibilità e chance di libertà.
(….) Karl Marx ha descritto nei Grundrisse una possibile evoluzione positiva delle collettività capitalistiche, collegata al ruolo sempre più importante della scienza e delle macchine nella produzione e nello sviluppo di ciò che egli ha chiamato ‘mente generale’. Quando la creazione della ricchezza reale dipenderà meno dal tempo e dalla quantità di lavoro che dallo stato generale della scienza e dal progresso tecnologico, o dall’applicazione della scienza alla produzione, il lavoro non apparirà piu ‘così’ inviluppato all’interno del processo di produzione’, ma piuttosto gli esseri umani saranno ‘più legati a professioni quale quella dei guardiani e dei regolatori del processo di produzione stesso’. Marx sembra predire la presente minimizzazione del lavoro in occidente causata dallo sviluppo tecnologico e collegata alla rivoluzione computazionale (…) si arriverà ad una ‘riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro (…)"


Desidero aggiungere una lucida riflessione di Cesare Del Frate:

Il mercato è un'istituzione sociale creata dagli uomini

"... Il fatto che la globalizzazione debba per forza avere questo volto (disumano) perché dipende dalle leggi del mercato, è un frutto dell'ideologia neoliberista che non corrisponde alla realtà. La delocalizzazione è possibile solo là dove esistono complicatissimi accordi bilaterali o multilaterali fra stati, è possibile solo grazie a una poderosa legislazione internazionale sui diritti di impresa, su quelli di copyright, sui diritti di proprietà etc. insomma, c'è un lavoro immenso dietro all'apparentemente semplice possibilità di delocalizzare, un gigantesco lavoro politico, legale e sociale che va occultato e nascosto per non vedere che non si tratta di adamantine leggi di mercato, ma di scelte politiche precise e deliberate. Il Dio-mercato dei neoliberisti non esiste, o meglio ha la stessa plausibilità ontologica di un unicorno rosa , il mercato è un'istituzione sociale creata dagli uomini. Come una divinità, il mercato ci dà degli ordini spacciandoli per sacre leggi trascendenti, in realtà quegli ordini servono a garantire vantaggi materiali a un manipolo di privilegiati. Il neoliberismo ha bisogno di affermare, con la Tatcher, che "la società non esiste": noi sappiamo che la realtà, e gli uomini, esistono, il mercato invece non esiste, o meglio esiste come istituzione sociale. L'hanno capito benissimo paesi come la Cina e l'India, che non hanno mai obbedito al FMI e hanno sempre operato un'apertura parziale alla globalizzazione, preferendo mantenere molti vincoli protezionistici e di altra natura: e infatti sono quelli che hanno la crescita più alta. Chi ha seguito alla lettera i comandamenti del Dio mercato o è fallito, come l'Argentina e il Messico, oppure è in stagnazione da ventanni (e ora in crisi), come l'Europa...Ormai stiamo arrivando, o siamo già arrivati, a un punto di rottura: non c'è bisogno di essere comunisti (io non lo sono mai stato) per dire che questa forma di capitalismo, cioè l'ideologia neoliberista o fondamentalismo del mercato, è una follia. Ed è una forma di fondamentalismo inteso come prigione mentale che si proclama autoevidente e al di sopra della storia, del giudizio e dell'azione, in quanto il neoliberismo pretende di rivelarci le verità dell'economia come se fossero scolpite nella pietra dal fuoco divino. Purtroppo è un fondamentalismo con cui ci indottrinano quotidianamente dappertutto, affinché mai ci rammentiamo che l'economia e la giustizia dipendono dalle azioni degli uomini e non da una divinità"


075. Tu non puoi capire!

 

 “Non puoi capire perché non hai figli!”

 

Desidero introdurre questa tipologia assai frequente di ragionamento fallace, che chiamerò Appello all'Inadeguatezza, attraverso una dimostrazione per assurdo: qualora il presupposto per l’analisi di un comportamento umano sia un’esperienza vissuta cui rapportarsi, tale presupposto dovrebbe essere criterio di ammissione alla facoltà di psicologia e ai corsi per assistenti sociali, per cui ciascuno ad inizio corso dovrebbe  aver  già subito uno stupro o averne commesso uno, aver  avuto un figlio dipendente da sostanze stupefacenti o esserlo lui stesso, aver avuto problemi di anoressia …un figlio bullo o bullo lui stesso...e magari aver già tentato il suicidio.

A mio avviso la valutazione di un comportamento umano non può che avvenire, tra i molti aspetti, attraverso l'analisi delle cause e delle sue conseguenze, semplificando.  Si tratta di un procedimento abduttivo non diverso da quello del Dr. House, che diagnostica malattie pur senza averne, o di Sherlock Holmes, che chiarisce gli omicidi e ne illustra i moventi pur senza averne commessi.  Si potrà rimproverare loro di non sapere “cosa si prova” ad avere la broncopolmonite o ad accoltellare il prossimo, ma non il fatto di non aver individuato il problema e averlo risolto. Dire ad esempio che  i preti abbiano torto sulle questioni della famiglia è legittimo, ciò che non lo è:  usare questo tipo di argomentazione di per sè non sufficiente o idonea a dimostrarlo. Idem per la "zitellona" che può avere torto o ragione, a prescindere dal suo non avere figli.

Facciamo pure un esempio banale, il fallimento scolastico del figlio di un nostro conoscente. Notiamo che detto ragazzo non possiede libri che non siano testi scolastici, abbia a disposizione somme di denaro cospicue spese per bevande alcoliche e vestiti firmati. Forse non sappiamo cosa “si prova” a negare ad un figlio un “piacere”, a dire “no”, ma abduttivamente intuiamo che vi può essere un nesso tra i fattori osservati e il fallimento scolastico. Molto spesso sono stata zittita (non ho figli per una precisa scelta di vita) con questo "argomento", una variante dell'attacco ad hominem.

Talora affermazioni del tipo “non puoi capire perché non hai….” servono a giustificare o minimizzare  una propria debolezza o incapacità. Pochi infatti hanno compreso i ragazzi , i loro problemi, le loro anime, le loro famiglie e la loro posizione all’interno della società, quanto ad esempio un  Don Lorenzo Milani (tenendo presente che sono atea e assolutamente favorevole all'abolizione dei Patti Lateranensi, anche se sempre disposta al dialogo con i diversamente pensanti. Vale a dire, se i preti nel loro complesso hanno visioni del tutto inaccettabili sulla famiglia e i "ruoli"  non è in quanto non ne abbiano una, ma in quanto seguono determinati precetti o una determinata interpretazione di essi. E in fin dei conti, a dirla tutta, pure io sono stata figlia e una "famiglia" l'ho avuta, dovesse essere questo il criterio ...

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