394. Having your cake

HAVING YOUR CAKE

Frequente in politica ma anche in dibattiti vertenti sui diritti degli individui non umani. Volgarmente detta “sedersi su tutte le sedie disponibili” .

Having Your Cake (also known as: failure to assert, diminished claim, failure to choose sides) Description: Making an argument, or responding to one, in such a way that it does not make it at all clear what your position is. This puts you in a position to back out of your claim at any time and go in a new direction without penalty, claiming that you were “right” all along.

Logical Form: I believe X is a strong argument. Y is also a very strong argument.

Example #1: Reporter: Mr. Congressman, where do you stand on the clean water vs. new factory issue?
Congressman: Of course, I want our state to have the cleanest water possible. I can appreciate the petition against the new factory as I can also appreciate the new jobs introduced in our community as a result of the new factory. Explanation: This type of “non-decision” or refusal to choose a side often eludes those looking for an answer but getting more of a non-answer in return. In our example, the congressman can later choose a side based on the outcome, looking like the guy who knew the right answer all along.

Di Bo Bennett

Logically Fallacious The Ultimate Collection of Over 300 Logical Fallacies Academic Edition Written By BO BENNETT, PHD http://www.LogicallyFallacious.com

Archieboy Holdings, LLC. 365 Boston Post Road, #311 Sudbury, MA 01776

393. Il turismo della povertà

Tra favelas e bidonville per vedere gli Altri

“Non è nuovissimo questo tipo di turismo – esiste da quasi vent’anni –, ma lo si può ancora indicare come la penultima frontiera (dell’ultima parleremo più avanti) per i viaggiatori in cerca di emozioni forti ed esperienze fuori dal comune, motivate da impegno sociale e vocazione umanitaria. Che in effetti ci vogliono tutti e due in dose massiccia per andare in vacanza a Rio de Janeiro o a Città del Capo a fotografare i poveri nelle favelas o nelle bidonville, cercando di non pensare a quanto è costato il biglietto aereo per arrivarci. Un genere di turismo che gli anglosassoni hanno battezzato poorism, contraendo e saldando insieme poor, povero, e tourism, turismo, coniando così un termine nuovo di zecca, un neologismo che indica una forma di turismo un tempo inimmaginabile. Noi italiani lo abbiamo chiamato «tour della povertà», etichetta che ha il merito di dire senza ipocrisia di cosa si tratta, anche se il francesismo tour tenta di camuffare il termine turismo che, associato alla povertà, fa venire i brividi. (…) A trarre qualche conclusione sul fenomeno ci ha provato Bianca Freire-Medeiros, sociologa brasiliana che lo studia fin dal suo apparire, nel 1992, quando le favelas iniziarono a diventare mete del turismo cosiddetto impegnato e le autorità cercavano di «bonificarle» e nasconderle agli occhi degli stranieri. «Oggi la favela di Rochina viene “venduta” dalle agenzie turistiche come la più grande dell’America del Sud ed è visitata da 3500 turisti al mese» spiega la sociologa. «Molti di loro credono di aiutare chi ci vive a uscire dalla povertà e dalla violenza e non si rendono conto che la violenza non è dovuta solo allo strapotere dei trafficanti di droga o al disprezzo delle élite brasiliane, ma è anche il prodotto di un modello economico ingiusto di cui gli stessi turisti fanno parte. In quanto alle accuse di “voyeurismo” e di sfruttamento neocoloniale, i turisti della povertà si difendono rispondendo che sono rimasti “affascinati” fin dal primo contatto con quella realtà, che “hanno imparato”, hanno “aperto gli occhi”, sono stati “trasformati” da quell’esperienza che ha dato loro l’opportunità di aiutare gli altri, piuttosto che pensare solo a se stessi.» (…) A chi bolla i tour della povertà come pornografia del turismo, gli appassionati del genere rispondono che l’incontro tra i visitatori benestanti e i più disgraziati della Terra «può essere utile a entrambi». Un’ipotesi che non tiene conto della drammatica asimmetria che c’è tra i presunti beneficiari e non risponde all’accusa di pornografia perché quella è insita nell’accostamento tra la parola turismo e la parola povertà: due cose che non possono essere messe insieme, nemmeno a fin di bene, per non fornire alibi a nessuno e perché lo zoo umano è sempre pronto a riaprire i battenti, cambiando solo scenografia e giustificazioni. (…)”

 

Viviano Domenici, “Uomini nelle gabbie. Dagli zoo umani delle Expo al razzismo della vacanza etnica” Prefazione di Gian Antonio Stella, edizioni Il Saggiatore

392. Darwin e le donne

DARWIN

“(…) Nella sua lettera, Kennard presumeva che, naturalmente, un genio come Darwin non potesse credere che le donne fossero per natura inferiori agli uomini. Sicuramente il suo lavoro era stato male interpretato. «Se è stato commesso un errore, dato il grande valore delle sue opinioni e della sua autorevolezza, bisogna rettificare» lo scongiurava. «La questione a cui lei fa riferimento è molto complessa» rispose Darwin il mese successivo, dalla sua casa di Downe, nel Kent. La lettera contiene scarabocchi così difficili da decifrare che qualcuno l’ha copiata interamente, parola per parola, su un altro foglio di carta, conservato accanto all’originale negli archivi dell’Università di Cambridge. Ma non è la grafia l’aspetto più discutibile di questa lettera. Lo è piuttosto il contenuto. Se la gentile Mrs Kennard si aspettava che il grande scienziato la rassicurasse sul fatto che le donne non sono veramente inferiori agli uomini, stava per rimanere delusa. «Penso realmente che le donne, sebbene in linea generale superiori agli uomini per qualità morali, siano inferiori dal punto di vista intellettivo» le rispose, «e mi sembra che, a causa delle leggi dell’ereditarietà (se le comprendo in maniera corretta), sia molto difficile che possano diventare intellettualmente uguali all’uomo.» Non finisce qui. Perché le donne superino questa disuguaglianza biologica, aggiungeva, dovrebbero assumere il ruolo di capofamiglia come gli uomini; ma questa non sarebbe una buona idea, poiché potrebbe danneggiare i piccoli e la felicità delle famiglie. Darwin sta dicendo a Mrs Kennard che non solo le donne sono inferiori agli uomini dal punto di vista intellettivo, ma anche che è meglio se non aspirano a una vita al di fuori delle loro case. Questa risposta rappresenta un rifiuto di tutto ciò per cui Kennard e il movimento delle donne stavano combattendo. La corrispondenza personale di Darwin riecheggia ciò che, con estrema chiarezza, viene espresso nelle sue pubblicazioni. In L’origine dell’uomo sostiene che i maschi hanno ottenuto un vantaggio sulle donne in mille anni di evoluzione, a causa della pressione subita nella competizione con i compagni. I pavoni maschi, per esempio, hanno sviluppato un piumaggio vivace e particolarmente elegante per attirare le femmine che invece hanno un aspetto molto più sobrio. Allo stesso modo, i maschi dei leoni hanno sviluppato le loro splendide criniere. In termini evolutivi, afferma Darwin, le femmine sono in grado di riprodursi indipendentemente dal loro aspetto. Hanno il lusso di potersi sedere e scegliere un compagno, mentre i maschi devono lavorare sodo e competere con gli altri rivali per attirare la loro attenzione. Seguendo questa stessa logica, per quanto riguarda gli esseri umani questa strenua competizione per le donne ha portato gli uomini a diventare guerrieri e pensatori. Questo ha fatto in modo che, nel corso dei millenni, diventassero esemplari sempre migliori dal punto di vista fisico, e che sviluppassero menti sempre più brillanti. Le donne sono letteralmente meno evolute degli uomini. «La principale distinzione per quanto riguarda il potere intellettivo dei due sessi si mostra nell’uomo, che raggiunge vette più alte, qualsiasi sia l’ambito di cui si occupa, di quelle che riesce a raggiungere la donna – che sia richiesta profondità di pensiero, ragionamento o immaginazione, o semplicemente l’uso dei sensi e delle mani» spiega Darwin in L’origine dell’uomo. Le prove sembravano essere tutte a suo favore. Gli scrittori, gli artisti e gli scienziati più importanti erano quasi tutti uomini. Darwin presupponeva quindi che questa disuguaglianza fosse il riflesso di un dato biologico. In sintesi, la sua argomentazione è: fondamentalmente, l’uomo è diventato superiore alla donna. A questo punto, la lettura diventa sorprendente. Darwin scrive che se le donne sono riuscite, in qualche modo, a sviluppare delle qualità notevoli come quelle degli uomini, potrebbe essere dovuto al fatto che i bambini nell’utero ereditano le caratteristiche di entrambi i genitori. Le donne, grazie a questo processo, riescono a rubare alcune delle migliori caratteristiche dei loro padri. «È, infatti, una fortuna che la legge dell’eguale trasmissione dei caratteri a entrambi i sessi abbia prevalso in tutta la classe dei mammiferi; altrimenti, è probabile che l’uomo sarebbe diventato, in termini di dotazione mentale, superiore alla donna, proprio come il pavone maschio ha un piumaggio molto più bello di quello della femmina.» È solo un colpo di fortuna biologica, egli sottintende, che ha impedito alle donne di essere ancora più inferiori agli uomini di quanto già non siano. Cercare di recuperare è una scommessa persa – una lotta contro natura. Per essere onesti con Darwin, bisogna riconoscere che era un uomo del suo tempo. La sua visione tradizionale del ruolo della donna nella società non è veicolata solo dai suoi lavori scientifici, ma è espressa anche nelle pubblicazioni di molti altri importanti biologi dell’epoca. Le sue idee sull’evoluzione possono essere state rivoluzionarie, ma i suoi atteggiamenti verso le donne erano saldamente vittoriani. (…) La donna termina la lettera con un’osservazione furiosa: «Per favore, fate prima in modo che l’ambiente delle donne sia simile a quello degli uomini e che abbiano le stesse opportunità, e poi potrete giudicare con equità se sono inferiori all’uomo dal punto di vista intellettivo». (…)”
Angela Saini

Nota della redazione: DARWIN, altro grande genio dell’umanità, da osannare senza se e ma … noi riteniamo impossibile contestualizzare per il seguente motivo: le contestazioni fondate giravano già allora, si veda il suo discutere anche con Frances Power Cobbe che lo fece confrontare con gli scritti di Stuart Mill sulla questione donne. E anche sul tema della vivisezione. Non era un poverino privo di mezzi. Consigliamo anche il testo “Darwin, sulla vivisezione”, dal quale si evince il suo schieramento dalla parte della vivisezione. https://www.ibs.it/sulla-vivisezione-documenti-di-dibattito-libro-charles-darwin/e/9788857516028

Link utile: https://pikaia.eu/lettera-per-caroline-kennard/

391. Uomini nelle gabbie

“(…) La sfilata è conclusa e il pubblico torna a casa, soddisfatto di aver visto da vicino quella babele di “subumani”, e contento di non essere come loro. Soddisfatto di essere bianco e civile. Un’angosciante sfilata ricostruita resuscitando i 35-40000 sventurati che, tra il 1870 e il 1940, attraversarono le strade di Parigi, Londra, Torino, St. Louis, Genova, Marsiglia, Amburgo, New York, Barcellona, Berlino, Anversa e tante altre città europee e americane, per andare a sistemarsi nei recinti degli zoo e dentro le gabbie con gli animali. Dove accorsero a vederli poco meno di un miliardo e mezzo di benpensanti smaniosi di scoprire com’erano fatti gli Altri, per poi mandare cannoni e baionette a portare civiltà e vera fede nelle terre dei selvaggi. Per colonizzarli, naturalmente, con le buone o con le cattive, ma sempre per il loro bene. Questa fu la reale funzione degli zoo umani: stabilizzare l’idea del primato della “razza” bianca, del suo diritto a dominare le “razze inferiori”, e convincere l’opinione pubblica occidentale della necessità di occupare le terre abitate da quasi-uomini e trasformarle in colonie. (…) Poiché oggi sarebbe difficile esporre nelle nostre città selvaggi e cannibali, le agenzie turistiche provvedono a mantenere attivo il fenomeno degli zoo umani accompagnando i clienti a vederli nel loro habitat, con esotici viaggi che vanno sotto il nome di turismo etnico, durante i quali entrambe le parti – indigeni e turisti – recitano il copione come da contratto, complici consapevoli del reciproco inganno, ma col solito rapporto squilibrato tra chi guarda e chi è esibito. A far rivivere i freak show ci pensa invece la televisione, che da diversi anni, con buon successo di ascolti e qualche rara voce critica, esibisce alle famiglie italiane la stessa umanità ferita esposta dal Circo Barnum e da altri meno famosi. In entrambi i casi, un’inquietante replica di fenomeni che pensavamo condannati dalla storia. Sebbene l’esibizione di gruppi umani extraeuropei sia documentata fin dalla prima Esposizione universale di Londra del 1851, in cui furono esibite due troupe di indiani – indù e thug –, la data di nascita ufficiale degli zoo umani è stata fissata al 1875-76, quando il tedesco Carl Hagenbeck, commerciante di animali selvaggi, fornitore e ideatore dei più importanti zoo europei e proprietario di un serraglio ad Amburgo, ebbe l’idea di mettere in mostra a Berlino e Lipsia indigeni delle isole Samoa e alcuni sami (lapponi), presentandoli come individui «allo stato di natura». A queste prime esibizioni seguì, nel 1877, quella dedicata a un gruppo di nubiani coi loro dromedari, che riscosse un grande successo di pubblico. Nascevano così le mostre antropozoologiche, in cui esseri umani e animali condividevano lo stesso spazio, appositamente realizzato e accessibile ai visitatori a pagamento. Gli zoo umani appunto. Nello stesso anno i nubiani e i loro dromedari furono trasferiti a Parigi ed esposti nel serraglio del Jardin Zoologique d’Acclimatation, dove poco dopo furono esibite famiglie di eschimesi, col loro corredo di cacciatori artici. Questi eventi parigini richiamarono quasi un milione di visitatori, per nulla turbati dal fatto che quegli esseri umani fossero esposti nelle gabbie, fino a pochi anni prima occupate dagli animali che la popolazione affamata si era mangiata durante la guerra franco-prussiana del 1870-71. Una sistemazione che fu ritenuta adatta ai selvaggi da esibire e che operava una brutale disumanizzazione attraverso la collocazione di quegli uomini in un ambiente realizzato appositamente per rinchiudere animali: i parigini dovettero ritenere nubiani ed eschimesi naturali residenti dello zoo. E le centinaia di esibizioni che seguirono dimostrarono che quello era il luogo ideale per l’animalizzazione dell’Altro. Nei recinti e nelle gabbie la natura selvaggia era incasellata e messa sotto controllo, mentre i visitatori erano al sicuro nello spazio della civiltà, da cui potevano osservare la barbarie oltre le sbarre. Lo zoo umano divenne così l’orgoglioso simbolo del dominio dell’uomo occidentale che legittimava l’imperialismo, il colonialismo e il razzismo, trasformando l’esibizione dell’Altro in uno spettacolo esotico e divertente. Il processo di disumanizzazione non fu un fenomeno improvviso, estemporaneo, ma il risultato di una sedimentazione di secoli, nella quale si mescolavano e si sostenevano reciprocamente elementi diversi. Con la disumanizzazione le vittime perdevano la natura e la dignità di uomini ed erano trasformate nella rappresentazione di quello che l’espositore e il visitatore desideravano che fossero; una tale regressione legittimava qualsiasi violenza, anche la più aberrante, che non era percepita come tale né dall’aguzzino né dalla società. Un metodo ben documentato da una quantità di immagini, attuato da migliaia di anni e rimasto immutato fino ai giorni nostri.(…).”

Viviano Domenici

Nota della redazione: come femministe antispeciste non possiamo non condannare non solo la reificazione dell’individuo umano ma anche quella delle altre specie, scorgendo delle matrici di dominio comuni.

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