361. Il moderno cercatore della pepita di letame

Il moderno cercatore della pepita … di letame

 

Da  un articolo di Repubblica (1) evinciamo quello che doveva essere il clima ai tempi della febbre dell’oro:

“Era il 16 agosto del 1896, quando l’americano George Washington Carmack, insieme a due amici pellerossa, pescò una pepita d’oro nel Rabbit Creek, un affluente del fiume Klondike, nel territorio canadese dello Yukon vicino al confine con l’Alaska. Da quel momento iniziò la corsa all’oro, consacrata più volte nell’immaginario letterario e cinematografico, consegnandoci il mito dell’uomo che sfida la natura estrema alla ricerca di un riscatto personale e sociale”

Nell’era  internet assistiamo a un simile fenomeno, assai meno edificante, laddove la pepita di letame si sostituisce alla vecchia pepita d’oro. La tecnica, generalmente impiegata da hater di vario genere (dagli xenofobi ai razzisti ai maschilisti - si veda anche il fenomeno "pancine" creato a tavolino contro le mamme -  agli omofobi fino a fenomeni di vegefobia), ma talora anche da coloro che cercano di difendersi da detti attacchi ricorrendo a medesimi mezzi in una catena infinita dell’irrilevanza,  consiste nello scandagliare ossessivamente la rete, alla ricerca di quanto più stupido, indecente, esecrabile o illogico vi sia in circolazione relativamente alla categoria, odiata, di riferimento: le pepite di letame (molto amata è la forma dello screenshot) vengono proposte sulle pagine dei social media con lo scopo di creare una tendenza, ovvero un campione rappresentativo. Non diversamente, del resto, da quanto fanno pure grandi testate giornalistiche: prendi l’immigrato che ruba davvero, sbattilo in prima pagina e fai in modo che se ne traggano conseguenze sugli “immigrati  che rubano”. La differenza con le grandi testate, che generalmente pubblicano casi reali nonostante le bufale o le mezze verità non siano rare, è che le pepite di letame in rete spesso  non sono verificabili nella loro autenticità e in tempi di magra la pepita di letame diventa pure una pepita di falso letame, vale a dire creata a tavolino. In entrambi i casi si punta a un pubblico che si ritiene acritico e non sufficientemente preparato nel senso di esigere seri studi volti a comprovare il “ trend”. Il fine perseguito è quello di polarizzare le emozioni, creare masse di opinionanti, e quindi aumentare le visualizzazioni e la propria popolarità (non di rado vi sono ricavi di carattere economico), non diversamente da quanto accade nei talk show dove vengono chiamati a interagire  personaggi noti per la scarsa sobrietà di linguaggio o assertività. Il pubblico di riferimento, felice di poter affermare, facilmente,  la propria superiorità rispetto alla pepita di letame proposta, reagirà con commenti sprezzanti, carichi d’odio, denigratori senza minimamente porsi il quesito del contesto in cui si trova a essere sollecitato. Il burattino utile per un determinato fine, spesso intellettualmente al di sotto pure della pepita di letame stessa.

In “Strumenti per pensare” di Daniel Dennett troviamo scritto: “…quando volete criticare un settore di ricerca, un genere letterario, una disciplina, una forma d’arte … non perdete tempo e non fatene perdere agli altri fissandovi sulle stronzate! Occupatevi delle cose importanti, oppure lasciate perdere …se non siete dei comici il cui scopo principale è far ridere la gente, risparmiateci le prese in giro …”. Vale a dire, anche volendo ammettere che quanto in circolazione, per ogni corrente, sia in gran quantità di deplorevole livello, occupatevi di coloro i quali hanno trattato la materia nel modo più rigoroso. A vincere facile sono capaci tutti.

Di pari passo con la tecnica della pepita di letame quale campione non rappresentativo va pure la fallacia dello straw man, ovvero la sapiente deformazione, attraverso la pepita di letame, del pensiero originario di riferimento.

 Lucy  F.

(1)

http://www.repubblica.it/esteri/2015/01/23/news/dalla_california_al_canada_nuova_corsa_all_oro_sulle_orme_di_jack_london-105631296/

 

 

360. Irriverender

 

 

 

 

Intervistiamo Irriverender, Architetto “Geek”, Millennial, e Blogger, che ci ha molto colpit* per la genialità di alcune sue creazioni e per la vastità dei suoi interessi.

 

Ci parlerà del suo blog, che ha come tema architettura, didattica, design e tecnologia, e delle sue attività professionali, come Architutor, ovvero docente di materie legate all’architettura (preparazione per i test d’ingresso, modellazione 3D, rendering) e come professionista del web (seo copywriting, content marketing, seo tecnica, digital branding).

 

Ciao Irriverender, posso chiamarti così?

Puoi chiamarmi anche Arch. Bonnì, ma l’architettura è solo la mia formazione: la professione mi ha portato verso altri sviluppi, didattici e tecnologici.
Ho coniato il nome “irriverender” quando ho iniziato la mia attività di architutor (formazione privata a 360 gradi ad architetti e aspiranti tali). Mi piaceva l’idea di applicare il concetto di “irriverenza” a ciò che avrei voluto insegnare senza prendersi troppo sul serio: la modellazione 3D e la renderizzazione.
Credo molto nel digital branding (promozione del proprio marchio), nella brand reputation (reputazione di un marchio) e nella brand awareness (conoscenza di un marchio), e quindi mi fa piacere quando vedo, tramite strumenti di analisi web, che le persone arrivano a me digitando prima di tutto Irriverender e non il mio nome.
La mia attività si è ampliata nel tempo. Oltre ad insegnare modellazione e render, preparo i ragazzi per i test d’ingresso di architettura, ingegneria, design, e aiuto gli architetti neolaureati a valorizzare il book e il portfolio, e ad usare linkedin e altri strumenti per conquistare il mondo del lavoro, non rimanendo irretiti nelle gavette infinite e nelle finte partite iva. Inoltre, sono tech writer, e scrivo di argomenti legati ad architettura, design, domotica, tecnologia, oltre che seo copywriter (scrivo in modo ottimizzato, per i motori di ricerca) e consulente seo in generale. Le abilità maturate nella scrittura seo, nel copywriting, nel content marketing, e nell’ottimizzazione SEO di siti e portali, le metto a frutto anche come docente: insegno ai freelance a gestire in tutto e per tutto la loro immagine web, dal logo design alla qualità dei contenuti.

Quali le tue passioni?

A parte il web e l'architettura, che immagino saranno il tema dell'intervista, sono bassista, ho diverse collezioni (dalle più nerd come calamite e spille, alle più ricercate come quella di pipe o il mio angolo d'Oriente in casa), sono attivista per i diritti civili, adoro leggere saggi, faccio ritratti fotografici e a grafite/carboncino, ma anche vignette satiriche. Ho conquistato alcune copertine, sia come ritrattista (tramite fotografie), sia come vignettista. A volte ho bisogno di manualità e silenzio, e mi dedico alle piante del mio balcone. La cura che si rivolge alle piante, in attesa di risultati lontani nel tempo, è simile alla cura che si deve rivolgere ad un sito web, prima di vederlo frequentato e visitato assiduamente.
 Musicalmente, adoro il southern rock, il progressive, l’hard rock e l’heavy metal. Cinematograficamente, adoro la fantapolitica, il cyberpunk, i paradossi temporali, le Utòpie e le Ucrònie, e, in generale, la fantascienza. Questo mi ha influenzato nella mia ricerca stilistica sulle atmosfere scenografiche di modellatore 3D e renderista.

 

Raccontaci di te e della tua metamorfosi in "Irriverender".

La mia passione per il web e per la grafica inizia a fine anni ‘90, a cavallo tra le medie e il liceo, anche se disegnavo già da molto prima, prevalentemente vignette e manga.

Io sono dell'84, quindi mi si può considerare appartenente alla generazione dei Millennials, ovvero coloro che hanno conosciuto il web e il digitale quando erano molto giovani, anche se oggi si parla di una nuova generazione, a cavallo tra Generazione X e Millennials: gli Xennials.

Quando è stato il momento di scegliere il percorso di studi, ha però prevalso l'interesse per l'Architettura e l'arte in genere. La mia facoltà si chiamava “Architettura e Società”. Si trattava del Politecnico di Milano, sede Leonardo. Nel mio piano di studi c’erano molte materie sociali e di comunicazione visiva.

In quegli anni, tra il 2002 e il 2007, facevo capolino nelle varie web communities e ne creavo di mie. Il mio interesse per la sociologia del contatto filtrato si mescolava all'amore per internet e per il digitale, che a sua volta sentivo come un importante nuovo strumento per rappresentare ciò che stavo studiando. Cercavo di cambiare le parole usate nei titoli del mio forum per renderlo più appetibile ai motori di ricerca e intercettare persone che sarebbero state interessate ai miei contenuti, e ottimi nuovi amici con interessi comuni.

E l’architettura? I render? In che modo la tua adolescenza e i tuoi interessi personali hanno dato un’impronta al tuo stile?

Ho avuto sempre una grande attività onirica, che mi permetteva di immaginare luoghi e atmosfere, e di poterle riprodurre se lo desideravo.

A volte il disegno non era uno strumento sufficiente, e guardavo con ammirazione le atmosfere di fantascienza e fantasy presenti nei grandi capolavori di Hollywood: dei progettisti avevano avuto la possibilità di progettare luoghi di ambientazione di storie che avrebbero fatto immaginare intere generazioni, come le diverse Gotham City, ad esempio, ma anche le tante ambientazioni fantascientifiche dei film dagli anni ‘90 ad oggi, le viste "a volo d'uccello" su città che non sarebbero mai esistite se non nell'immaginario collettivo.

Poi, una decina d'anni fa, ho visto Inception, e la figura dell'architetto dei sogni, e il suo ruolo mi ha stregato. A quel punto ho iniziato a costruire architetture e scenari “impossibili” con gli strumenti di modellazione 3D e render allora a me disponibili, e, negli anni, con strumenti sempre più fotorealistici, anche se il fotorealismo in sé non è l'obiettivo: l'obiettivo è trasmettere un'atmosfera, un po' come fa la creatrice di ricordi di Blade Runner 2049.

Ho creato un portfolio surreale ispirandomi al SuperStudio, mostrando luoghi ed atmosfere extraterrestri, giocando con gli environment, le luci, le riflessioni e le rifrazioni, per creare un book irriverente. Negli anni ho lavorato molto come modellatore e renderista, ma il mio sogno sarebbe stato creare un team di figure ognuna esperta in modo meticoloso e quasi ossessivo in uno dei passaggi che portano alla nascita di un luogo: la modellazione, la renderizzazione, la post-produzione,: un team di giovani, orientati verso l'open source, che avrebbero lavorato in tandem, ognuno specialista di uno dei sopracitati passaggi, ma questo non è successo, perché la mia generazione ha troppo patito le ingiustizie del mondo professionale delle professioni tecniche, e alla fine ha finito per credere nel mantra propinato dagli studi professionali in cerca di giovane manovalanza: che si lavora col passaparola, che ci si deve affiancare ad un anziano che un giorno ti renderà socio, etc etc…

La tua fuga dal mondo dei giovani architetti a finta partita iva dove ti ha portato?

Dopo alcuni anni a credere alla favola della “gavetta” presso gli studi professionali, avevo capito che questi anziani professionisti non avevano nulla da insegnare, o non volevano farlo. Parlavano di brevi gavette, ma vedevo cinquantenni accanto a me, col pc, a modellare, e questi capi sempre in cerca di nuova “forza lavoro” giovane che portasse in studio delle nuove competenze informatiche, la capacità di fare render all’avanguardia, loghi accattivanti, che conoscessero il BIM o facessero risparmiare lo studio, informandosi sul mondo open source.

Non avevo interesse di mettere le mie competenze a servizio di questi “vampiri”, così decisi di cambiare settore e cercare una realtà azienda. Per puro caso, tramite InfoJobs, trovai un’azienda, per cui ho lavorato dieci anni e lavoro ancora part time, una star up, diventata ben presto una grande realtà leader nel mercato dell’editoria digitale, operando nel settore della comunicazione e del marketing, e facendo esperienza in un reparto di Information Technology, e questo mi aveva dato ulteriori strumenti per presidiare il web in modo adeguato per promuovermi come freelance.

In quel periodo ero già abbastanza presente sui social, in particolare su quelli di settore e professionali, e la mia voglia di incontrare persone come me, “esuli” dal destino a finta partita iva, e “atterrati” in un altro settore, era enorme. Intercettavo solo coetanei senza un profilo professionale interessante, dis-orientati.

A molti di loro ho dato delle consulenze su quale pacchetto software padroneggiare per essere "sexy" per il mercato, se rivolgersi o meno all'open source a seconda delle esigenze e del proprio orientamento a riguardo, e infine su come essere presente in modo intelligente e costante, dando talvolta anche delle vere e proprie lezioni sui programmi 3D, seguite da consigli su come e dove trovare risorse free relative alla formazione.

I risultati erano talmente buoni che oggi orientare risorse con un background simile al mio è parte del mio lavoro: non è solo “digital branding”, ma anche ascolto. Capire cosa una persona vuole per il suo futuro e indicare possibili vie, che richiedono sicuramente una cura dell’immagine digitale, ma sarebbe riduttivo ricondurre tutto solo a questo.

E cosa hai scoperto in questo tuo lavoro di digital branding e orientamento a giovani professionisti e architetti?

Mi rendevo conto che il freno più grosso che queste persone avevano a lanciarsi nel mercato come freelance era il prezzo dei software. Avevo fatto molti corsi relativi a programmi di modellazione 3D e render, prima di iniziare ad insegnarli, ma mi rendevo conto che insegnare questi programmi ad uno studente delle superiori o del politecnico, o ai titolari di un grande studio aveva senso, ma per i giovani professionisti servivano alternative "libere" per tutte le tipologie di software richieste dal nostro settore, dal logo design all'impaginazione, dalla modellazione al rendering, dal disegno 2D alla post-produzione, e ciò mi ha spinto ad aprire un blog che potesse orientare in tal senso, arrivando poi, col tempo, a scrivere anche per alcune riviste del settore, tra cui Blender Magazine, relativa al celeberrimo software libero di Modellazione e Rendering. Sapendo cercare, si trovano software open source corrispondenti ad ognuno dei software blasonati a pagamento, e sono utilissimi anche per la didattica, con allievi adulti, ma anche giovanissimi.

Da professionista che non vive più il problema, come guardi il tema delle finte partite iva per i giovani?

Moltissimi giovani sono ancora costretti a lavorare a finta partita iva, per cifre irrisorie e coi vincoli del dipendente, per degli studi tecnici, con l’illusione che “impareranno il mestiere” o saranno prima o poi fatti soci. Non volevo che la mia esperienza esterna al settore dell’architettura mi allontanasse da quanto pativano i miei coetanei, che con me condividevano un percorso di studi, e tramite il mio attivismo in tal senso (che si affiancava al mio essere "open source activist”) ho conosciuto (e ritrovato) una serie di coetanei con cui fare rete e confrontarsi. E anche con i miei alunni, ancora universitari o neolaureati, che mi chiedono un supporto per entrare nel mondo del lavoro, non riesco ad essere solo un tutor, ma in qualche modo tiro fuori il mio attivismo. Sicuramente è vero che loro mi pagano, e io offro al loro un servizio, diventare accattivanti per il mondo del lavoro, ma amo metterli in guardia sulle insidie delle gavette infinite. Inoltre, molti di loro, in seguito, sono diventati dei veri e propri collaboratori. Se ho il calendario pieno di allievi, e loro hanno ormai una padronanza tale di un software, o del disegno tecnico, da poterlo insegnare, segnalo loro. Mi fido di loro, molti sono stati miei allievi per anni. Ho anche un piccolo network di colleghi professionisti e docenti, a cui segnalo allievi, e lo stesso faccio nel copywriting: quando qualcuno cerca articolisti bravi e che sanno scrivere in ottica seo, magari segnalo un mio allievo, o una persona che ho conosciuto in attività redazionali online di attivismo o volontariato. Fare rete è la prima cosa quando si vuole uscire da un circuito “oligarchico” in mano a pochi anziani e ai raccomandati.

Irriverender è il tuo marchio come professionista, ma è anche il nome del blog…

I miei approfondimenti sui software, la mia ricerca sull'open source, i miei interessi sulla bioarchitettura, le mie interviste a veterani del settore che potessero dare consigli, insieme alle mie vignette, trovarono sotto un ombrello che io decisi di chiamare "Irriverender", e che considero attualmente il mio brand e il mio progetto. Inoltre, visto che scrivo anche per altre realtà online e cartacee, è un buon biglietto da visita per far vedere le mie capacità come articolista tecnico (tech writer), come SEO copywriter e come docente.

A tutte queste iniziative editoriali e di networking si aggiunge la mia attività di formazione e orientamento che rivolgo ai giovani e meno giovani (studenti delle superiori, universitari, neolaureati, adulti che vogliano reinventarsi, interi staff di studi appena aperti), sui software, ma anche sulla presenza sul web (gestire un sito o un blog su Wordpress usando le tecniche del content marketing e del seo copywriting), e il mio recente attivismo tramite una lista di giovani architetti che, candidandosi alle elezioni dell'Ordine di Milano, vorrebbero cambiare le cose.

Tengo anche lectio magistralis, conferenze e master class, come quella che amo ricordare, Millennial at work, al liceo artistico di Giussano, in cui ho parlato dell’accesso al lavoro a dei futuri designers, delle classi terza, quarta e quinta delle scuole superiori.

 

Hai mai insegnato ad una classe di colleghi Architetti?

Grazie all’associazione Missione Architetto, e allo Studio Iduna, a marzo del 2018 faremo partire un corso di Formazione, chiamato “Architect On Web”, che rilascia crediti formativi agli iscritti all’Albo degli Architetti. Il corso permetterà all’Architetto, giovane e meno giovane, di presidiare il web, tramite il proprio sito/portfolio e tramite i social networks, e di diventare autonomo nella creazione e gestione di spazi web, creati su Wordpress, acquisendo anche il gusto necessario e le competenze di scrittura ottimizzata per il web, e comprendendo i concetti di content marketing (offrire materiale informativo per ottenere autorevolezza come Brand) e seo copywriting (una scrittura persuasiva ma anche ottimizzata per la SEO). Ovviamente, essere docente in un corso riconosciuto dall’Ordine degli Architetti e che eroga ben 14 crediti formativi è per me un’enorme opportunità di crescita professionale come docente.

 

Quindi cosa deve fare un giovane che vuole promuoversi sul web?

Deve partire dal capire cosa vuole ottenere, e poi scegliere gli strumenti giusti per promuoversi. Alcuni preferiscono i social più visuali, altri dei social più orientati al digital branding, o alle news, o ancora i social di settore, o accademici, o professionali. Dopo viene il "come" presidiarli. A me non interessa tanto prendere in carico il social di un professionista, ma piuttosto insegnargli ad usarlo in modo ottimizzato. Per questo preferisco dare consulenze e lezioni. Dopo alcune lezioni/consulenze, il professionista acquisisce una padronanza e una consapevolezza che lo rendono autonomo nella propria autopromozione, dovendo impiegare molto tempo in meno di quanto possa pensare. A volte ha senso avere pochi social, ma curarli con attenzione. Nelle mie lezioni spiego concetti come digital branding, storytelling, content marketing, seo copy, seo tecnica, link building e molto altro, ma in modo che possano essere "alla portata" di chi deve applicare questi concetti semplicemente alla cura della propria presenza web.

 

E per quanto riguarda i software?

Non sono attivista open source in modo sfrenato. Per un giovane che sogna di fare il dipendente, o di collaborare con altri per fare esperienza, può essere importante studiare il mercato, e capire quali software sono a lui richiesti dal mercato del lavoro. Ci sono, infine, delle "famiglie" di software (cad, parametrici, bim, etc etc) che spesso contengono software che funzionano in modo analogo, e val la pena di visionarli un po' tutti, e approfondirne, magari, uno per "famiglia". Sono strategie che si decidono al momento a seconda delle esigenze espresse dal professionista o dallo studente a cui faccio la consulenza. Ho reso disponibile in modo gratuito una guida per orientarsi, in attesa, magari, di una consulenza personalizzata.

 

...e per quanto riguarda i render? perchè si insegue il fotorealismo?

Inseguire il fotorealismo non è di per se sbagliato. Credo che sia importante saperlo ottenere per poi trovare la propria vena espressiva. Un esempio?

Salvador Dalì disegnava corpi perfetti, ma poi creava atmosfere surreali. Chi fa arte attingendo da stili non “fotorealistici” ha imparato dapprima a replicare realisticamente corpi e luoghi. Allo stesso modo, quando si postproduce un render, si deve prima fare la color correction (le correzioni "oggettive") e solo dopo, col "color grading", creare le atmosfere vicine alle sensibilità dell'artista e/o a quanto richiesto dal committente.

La macchina fotografica (o il motore di render) non vedono la realtà come la vede l'occhio umano (che vede tramite coni e bastoncelli), e la sottoesposizione, o sovraesposizione, possono essere corretti ma anche diventare parte dell'espressione di una foto, o di un render.

 

Al netto dei vari programmi e delle loro potenzialità, come si fa un buon render?

Il metodo da me usato è quello del maestro Sannino. Dopo aver pulito il modello da imprecisioni, e dopo aver scelto un'inquadratura accattivante (che da sola vale la metà della qualità del render), vanno bilanciate le luci utilizzando per tutta la modellazione un materiale bianco o grigio, non riflettente (quindi neutro). Dopo vengono creati i materiali. In queste fasi le opzioni del render vengono usate con impostazioni che facciano risparmiare tempo senza penalizzare troppo la qualità. Segue la fase in cui, mettendo impostazioni avanzate e precise di renderizzazione, si controlla la pulizia del risultato, si “ritocca” l’illuminazione se necessario, e infine si corregge il colore in post-produzione.

Il lavoro richiede una ricerca continua: di atmosfere stili e colori simili a quanto desiderato, di materiali e textures, di modelli già disponibili come "creative commons", da personalizzare, ma soprattutto avere la "visione nella mente" di ciò che stiamo rappresentando, o meglio, "creando".

 

Qual è la tua fase preferita di progettazione 3D e renderizzazione?

Nessuna fase è meno interessante delle altre. Alcuni renderisti amano la fase del bilanciamento delle luci. Personalmente la fase che mi affascina è la restituzione dei materiali. Trovare il colore corrispondente, riuscire a capire quanto e come riflette un materiale, quanto e se ha una trasparenza,se questa trasparenza è tonalizzata da un colore, se la superficie ha o meno una ruvidità, o nel caso di un render di "ricerca fantascientifica", proporre materiali nuovi e "surreali".

 

Quando uno studente o un potenziale allievo ti manda un suo lavoro, cosa consigli?

Cerco di fare in modo che evitino i classici errori dell’operatore principiante:

  • dimenticare che qualsiasi materiale riflette, persino un tessuto
  • sottovalutare l'importanza dell'avere delle basi di composizione di una foto
  • non salvare il render nel formato corretto, che permette una buona post produzione
  • sottovalutare la ricerca di riferimenti visivi e ispirazioni
  • sottovalutare il realismo dato dal dettaglio

 

La tua attività di formatore riguarda solo la Grafica, il 3D e il seo Copywriting?

Nell’intervista ho parlato soprattutto della mia attività di tutor relativamente alla modellazione e rendering (Rhinoceros, Sketchup, Autocad, 3DS Max, Vray, ma anche molti altri), alla grafica vettoriale, raster, all’impaginazione (Photoshop, Illustrator, InDesign del pacchetto Adobe, ma anche validissime alternative Open Source come Gimp, Inkscape e Scribus), e al padroneggiare il content marketing, il seo copywriting e il personal branding per promuoversi come freelance nel web (creare e gestire un sito o un blog in Wordpress, la scrittura ottimizzata per il web, l’indicizzazione e le basi della SEO, la gestione dei Social Networks, l’affiliate marketing), ma tratto anche altre discipline, perché quando la formazione è una passione così sentita, è difficile limitarsi a pochi argomenti o smettere di formarsi per ampliare i propri orizzonti.
Grazie ai miei studi relativi alle Metodologie e alle Tecniche Didattiche, ai miei approfondimenti sulle lingue straniere, e alla mia grande passione per la matematica, abbondantemente presente nei miei studi scientifici, ma anche approfondita costantemente negli anni, seguo ragazzi e ragazze delle scuole elementari, medie e delle superiori, che hanno bisogno di aiuto col metodo di studio o hanno bisogno di aiuto in matematica, storia dell’arte, disegno tecnico, tecnologia.  È stato bello ed emozionante seguirli negli anni, perché nessun corso di formazione può insegnarti quello che impari dai giovanissimi. Infine, ho allievi di tutte le età su materie “hobbistiche” come lo studio del basso elettrico, della fotografia professionale, e del fumetto.

 

Chi volesse maggiori informazioni, come potrebbe contattarti?

Come specialista della formazione, ho un sito web

 

 

 

 

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359. Le fallacie logiche sulle donne transgender

 

Traduzione (*)

Come smontare il mito "Le donne transgender non sono donne"

Julia Serano, autrice di Whipping Girl, demolisce le fallacie una a una.

Di Julia Serano 7/14/2017

 

Di recente sono stata intervistata dal New York Times sul mio lavoro e sui miei scritti come transfemminista. Da conversazioni preliminari avevo appreso che il mio intervistatore contava di interpellarmi riguardo alle dichiarazioni di Chimamanda Ngozi Adichie, risalenti all’inizio di quest’anno, secondo le quali le donne trans non sono donne.

Così, preparandomi per la mia intervista, ho deciso di rivisitare il mio primo libro, Whipping Girl: a Transsexual Woman on Sexism and the Scapegoating of Feminity, e di elencare tutti gli argomenti che ho lì esposto per controbattere a tali affermazioni. Ho esposto alcuni di questi punti durante l’intervista, sebbene soltanto pochi siano stati inclusi nell’articolo finale, poiché esso è stato abbreviato per motivi editoriali.

Ma dato che queste affermazioni "le-donne-trans-non-sono-donne" ricorrono regolarmente (e sono spesso portate avanti da persone che si definiscono femministe), ho pensato che valesse la pena raccogliere tutte le mie controargomentazioni più rilevanti in un unico saggio.

Osservazioni preliminari riguardanti il termine "cisgender"

In questo saggio userò il termine "cis" o "cisgender" per riferirmi a donne che non sono trans o transgender. Spiego la logica sottostante a tale terminologia nelle mie FAQ sulla terminologia cis e in due saggi successivi ai quali potete accedere qui qui.. Le donne che insistono nel dire che le donne trans non sono donne spesso protestano quando vengono chiamate "donne cis" partendo dalla falsa premessa che il termine indebolisca in qualche modo la loro femminilità, ma questo non è affatto lo scopo di questo linguaggio. L’unico fine della terminologia cis è di dare un nome alla maggioranza che ne è sprovvista (come ci si potrebbe riferire alle donne bianche, alle donne eterosessuali, alle donne normodotate e così via). In altre parole riferirsi a qualcuno come "cisgender" significa semplicemente che questa persona non ha avuto un’esperienza transgender.

Le realtà delle donne transessuali

Le donne transessuali sono molto diverse l’una dall’altra. Forse l’unica cosa che abbiamo in comune è il sentire che vi era qualcosa di sbagliato nell’essere assegnate al sesso maschile alla nascita e/o che noi invece avremmo dovuto essere assegnate al sesso femminile. Mentre alcune persone cisgender rifiutano di prendere sul serio la nostra esperienza, il fatto è che le persone transessuali possono essere trovate praticamente in ogni cultura e attraverso la storia; stime attuali suggeriscono che noi siamo 0,2-0,3% della popolazione [o forse di più, si veda la nota più in basso].

In altre parole, semplicemente noi esistiamo.

Nel mio caso, ho passato anni a cercare di dare un senso alle inesplicabili e irrefrenabili sensazioni che avevo prima di prendere finalmente la decisione di transizionare, 17 anni fa. Da allora vivo come donna. In ogni singolo giorno della mia vita la gente mi percepisce e mi tratta come donna, e come risultato provo regolarmente sulla mia pelle il sessismo. Le femministe cis che affermano che le donne trans non sono donne sono ossessionate dalle questioni di identità (“Come può un "uomo" chiamare se stesso donna?”), e deliberatamente trascurano o minimizzano il fatto che noi abbiamo realissime esperienze di vita come donne.

Più in generale, come donne, anche molte donne trans sono femministe. Il femminismo e l’attivismo transgender non sono assolutamente incompatibili e non si escludono a vicenda. Come femministe che riconoscono l’intersezionalità, noi crediamo che dovremmo combattere per porre fine a tutte le forme di sessismo ed emarginazione, la qual cosa include sia il sessismo tradizionale che la transfobia. Obbligare le donne transessuali in un gruppo separato distinto dalle donne cis non aiuta in alcun modo a raggiungere l’obiettivo centrale del femminismo di porre fine al sessismo.

La fallacia della "donna biologica"

Le affermazioni secondo le quali le donne trans non sarebbero donne poggiano spesso su premesse di stampo essenzialista (e quindi non corrette) riguardanti la biologia. Ad esempio la gente potrebbe dire che le donne trans non sono "geneticamente donne", nonostante il fatto che non possiamo facilmente accertare i cromosomi sessuali di qualcuno. In verità, la maggior parte delle persone non si sono mai fatte analizzare i cromosomi sessuali e quelle che lo fanno talora sono sorprese dei risultati.

Altri comuni appelli alla biologia sono focalizzati sulla riproduzione, ad esempio si dice che le donne trans non hanno fatto l’esperienza delle mestruazioni o non possono rimanere incinte. Questo non tiene conto del fatto che alcune donne cisgender non hanno mai avuto mestruazioni e/o non possono avere bambini.

Le affermazioni riguardanti i genitali sono parimenti problematiche: i genitali delle donne variano molto, e come nel caso dei cromosomi e delle capacità riproduttive, noi non possiamo facilmente vedere i genitali di altre persone negli incontri di ogni giorno. Se tu e io dovessimo incontrarci, dovrei rifiutare di riconoscerti o riferirmi a te come donna a meno che tu mi mostri i tuoi genitali? E sinceramente, cosa potrebbe essere più sessista che ridurre una donna a quello che ha tra le proprie gambe? Non è esattamente quello che hanno fatto gli uomini sessisti alle donne per secoli?

Io direi che tutti questi appelli alla biologia sono intrinsecamente antifemministi. I sessisti regolarmente delegittimano le donne facendo riferimento a differenze biologiche reali o presunte. Le femministe si sono opposte a lungo all’oggettificazione dei nostri corpi sostenendo che noi non siamo confinate alla nostra biologia. Pertanto è ipocrita che una donna che si identifica quale femminista usi gli argomenti della "biologia" e delle "parti del corpo" nei suoi tentativi di escludere le donne trans.

La fallacia "Caitlyn Jenner"

In questi giorni negli argomenti "le-donne-trans-non-sono-donne" si cita sempre Caitlyn Jenner, affermando come da copione quanto segue: "Come può qualcuno come Jenner, che ha vissuto l’intera vita come uomo, sperimentando i privilegi associati a ciò, affermare di essere una donna?". Probabilmente vi sono appelli alla biologia in questo particolare esempio, poiché molte persone ricordano Jenner come un atleta fisicamente maschile. Ma il nocciolo di questa affermazione è che le donne sono donne a causa della socializzazione e/o delle loro esperienze con il sessismo. E io allora? Ho vissuto la mia vita da adulta più come una donna che come qualcuno percepito come uomo, e ho sperimentato molto sessismo dopo la mia transizione: commenti per strada e molestie sessuali, un tentato stupro, uomini che non mi facevano parlare o non mi prendevano sul serio, e via dicendo. E cosa dire delle giovani ragazze trans che socialmente transizionano presto e non hanno mai fatto l’esperienza di essere percepite o trattate come uomini? Se si porta avanti l’argomentazione della "socializzazione" o della "esperienza del sessismo", ebbene allora bisogna ammettere che molte donne trans hanno parimenti tali esperienze e che quindi sono donne alla luce di tali criteri. Persino persone che hanno transizionato tardi come Jenner affronteranno il sessismo, una volta che la gente comincia a percepirle come donne. E anche se la donna trans in questione è visibilmente transgender, continuerà a subire molto sessismo sotto forma di transmisoginia.

Se sei una fautrice dell’argomento "le-donne-sono-donne-per-via-della-socializzazione", ti chiedo di considerare il seguente scenario: una giovane ragazza viene forzata contro la propria volontà a vivere come ragazzo. Una volta diventata adulta, dopo anni di socializzazione maschile e privilegi, lei arriva a identificarsi in termini femminili e comincia a vivere come donna. La accetti come donna? Se la tua risposta è "sì", allora è ipocrita non accettare anche le donne trans come donne (a dire il vero, "essere forzate contro la loro volontà a essere un ragazzo" è esattamente lo scenario con cui molte donne trans descrivono la loro infanzia).

Spesso le persone che sostengono che le donne trans non sono donne portano avanti simultaneamente sia l’argomentazione della biologia sia quella della socializzazione, anche se esse sembrano contraddirsi (ad esempio, se la biologia è il criterio predominante, allora quello della socializzazione non dovrebbe contare, e viceversa). In modo molto simile ai loro soci omofobi, che si appellano alla biologia ("Dio ha fatto Adamo ed Eva, non Adamo e Steve"), e poi invocano ipocritamente la socializzazione (ad esempio dicendo che si può diventare gay per via di insegnanti gay o per via dell’"agenda omosessuale"), chi sostiene che "le-donne-trans-non-sono-donne" si aggrappa a tutto piuttosto che cercare di costruire un argomento coerente.

La socializzazione di genere è del tutto reale, ma tutti noi siamo capaci di andare oltre la socializzazione che abbiamo sperimentato da piccoli. E la socializzazione di genere non si ferma semplicemente quando si diventa adulti: tutti noi siamo continuamente confrontati con pressioni sociali riguardanti il genere, aspettative, e ostacoli per tutta la vita. Se pensi che tali affermazioni siano vere per le donne cis, allora esse devono essere vere anche per le donne trans.

Le fallacie "energia maschile" e "privilegio maschile"

Un ramo dell’argomento della socializzazione procede più o meno come segue: nonostante la transizione e muovendosi nel mondo come donna, le donne trans ancora posseggono il "privilegio maschile" o l’"energia maschile". L’argomento dell’energia maschile mi pare particolarmente sessista, in quanto implica che l’uomo abbia una qualche sorta di forza vitale magica o mistica che le donne non posseggono o non possono possedere.

Questa sorta di affermazioni sembrano basate su congetture o su una proiezione. Ad esempio, nei molti anni in cui sono stata percepita dal mondo come donna cis non ho mai incontrato nessuno che abbia scoperto in me un "privilegio maschile" o una "energia maschile". Però, una volta saputo che io sono transgender, alcune persone tendono a leggere questi tratti nel mio comportamento. In effetti, se io vi dicessi che una determinata donna è transgender (anche se non fosse vero), voi potreste essere inclini a (re)-interpretarla in modo simile, ovvero leggendo ogni tendenza da maschiaccio o butch quali manifestazioni di "energia maschile" e supponendo – ogni volta che lei si imponga o si ribelli – un segno del suo "privilegio maschile" profondamente connaturato.

Il privilegio maschile è una cosa molto reale. Nel mio libro Whipping Girl ho parlato a lungo della mia personale esperienza di averlo, e conseguentemente di averlo perso dopo la transizione. Tuttavia non ogni donna trans fa esperienza del privilegio maschile (ad esempio le persone che fanno una transizione da giovani). Inoltre sollevare il tema del privilegio (uguale se maschile, bianco, delle classi superiori, delle persone normodotate o etero, per nominarne alcuni) serve per rendere consapevoli dei vantaggi di cui gode la maggioranza/classe dominante per il fatto che questa non si trova ad affrontare un particolare tipo di sessismo o emarginazione. Coloro che sostengono che le donne trans non sono donne insistono costantemente sul privilegio maschile reale o immaginato della donna trans, rifiutando di riconoscere o esaminare il proprio privilegio cis: ciò dimostra che le loro preoccupazioni riguardo al privilegio sono insincere, e che stanno solo usando questo concetto per delegittimare le identità delle donne trans e le loro esperienze vissute come donne.

La fallacia della donna trans come caricatura della donna

Questa fallacia in qualche modo si sovrappone alla fallacia "Caitlyn Jenner" e procede più o meno come segue: è impossibile che le donne trans sappiano cosa significhi essere donna. Pertanto esse devono essere state indotte alla transizione da un’idea molto superficiale o stereotipata di cosa significhi essere una donna, un’idea basata su idee convenzionali del femminile che molte femministe hanno rigettato. In altre parole le donne trans non sono vere donne, ma piuttosto noi ci trasformiamo solo in "parodie" o "caricature" delle donne. Le persone che affermano ciò spesso invocano in aggiunta il privilegio maschile – ad esempio insinuando che deve trattarsi di "arroganza maschile" o "diritto maschile" che condurrebbe noi donne trans a presupporre che possiamo capire le donne e/o diventare donne noi stesse.

Ci sono molti problemi con questo tipo di ragionamento:

1. Esso poggia su una visione estremamente negativa dell’espressione del genere femminile (che ho già smontato nei miei scritti) e implica che pure le donne cis convenzionalmente femminili si comportino superficialmente e/o rafforzino gli stereotipi.

2. Esso ignora le molte donne trans dichiaratamente femministe e/o femminili in modo non convenzionale.

3. Le donne trans non transizionano per il desiderio di essere femminili, noi transizioniamo per un’interna consapevolezza che siamo o dovremmo essere donne (comunemente indicata come identità di genere).

4. Le donne trans femminili in senso convenzionale non affermano o insinuano affatto che tutte le donne dovrebbero essere femminili in ugual modo, o che la femminilità sia quello che rende donna. Come le donne cis, noi donne trans ci vestiamo per esprimere noi stesse e non per criticare o fare la caricatura di altre donne.

5. Questo tipo di ragionamento accusa le donne trans di presumere arrogantemente di sapere cosa provano le donne cis, ma noi non lo facciamo. In realtà sono le donne cis che muovono tale accusa a presumere in modo arrogante di sapere cosa provano le donne trans e cosa ci motiva.

Come donna trans, sono la prima ad ammettere che non posso assolutamente sapere cosa provi ogni altra donna o cosa senta dentro. Ma il fatto è che nemmeno chi sostiene che le- donne-trans-non-sono-donne può sapere cosa ogni altra donna provi o senta! Ogni donna è differente. Condividiamo alcune esperienze coincidenti, ma differiamo anche in ogni modo possibile. Tutte le donne trans che conosco riconoscono questa diversità. Al contrario, è la donna cis che cerca di escluderci che sembra avere una strana, superficiale, stereotipata nozione di cosa costituisca una donna o di quello che una donna provi.

Una nota finale: l’affermazione "le donne trans sono caricature delle donne" ha un forte nesso con il luogo comune "le donne trans rinforzano il sessismo", che ho smontato nel seguente thread di Twitter (…)

La fallacia della differenza del cervello

Se sei una persona trans (che non possiede il privilegio cis), la gente spesso ti costringe a spiegare o giustificare la tua identità di genere. Una risposta comune è dire qualcosa come "sono nata con un cervello da donna nonostante io abbia un corpo da uomo". Molte volte è un’intenzionale ipersemplificazione da parte delle persone trans, un tentativo di sintetizzare la complessità dell’esperienza transgender in modo che ogni persona media cisgender possa comprendere. In altri casi le persone trans possono fare riferimento a ricerche che suggeriscono che, in alcune piccolissime regioni del cervello dove si individua dimorfismo di genere, le donne trans sono più simili alle donne cis che agli uomini cis (le persone trans non sono unanimi nel considerare queste ricerche come preliminari, valide o non valide).

Tuttavia alcune femministe cis deducono da ciò che tutte le persone trans devono avere credenze molto essenzialiste sulla questione cervello maschile e cervello femminile, e che quindi noi siamo un affronto al femminismo. Spesso mentre affermano ciò fanno esse stesse affermazioni essenzialiste, ad esempio riguardo alle capacità riproduttive, per delegittimare le nostre identità (come fa Elinor Burkett nell’articolo in cui cita ogni ragionamento possibile per sostenere "le-donne-trans-non-sono-donne", si veda il video in cui confuto i suoi argomenti).

La fallacia "Rachel Dolezal"

Oltre a Caitlyn Jenner, nelle odierne argomentazioni "le-donne-trans-non-sono-donne" si cita quasi sempre Rachel Dolezal. L’implicazione è che un "uomo" che afferma di essere una donna è tanto ridicolo, e tanto privilegiato, quanto una persona bianca che afferma di essere nera. Ma il fatto è questo: Rachel Dolezal è una sola persona. In netto contrasto (come ho detto prima), le persone transgender sono un fenomeno che attraversa le culture e la storia, e comprendono circa lo 0,2-0,3% della popolazione (un lettore ha affermato che studi più recenti parlano di forse 0,6% o di più).

Se vi interessa saperne di più sull’esistenza di persone gender variant qui (…) trovate una nota finale dal mio libro, che riguarda la diversità storica e culturale.

Fallacia "Le donne trans rifiutano di riconoscere ogni distinzione"

Coloro che sostengono che le donne trans non sono donne spesso insistono sulla differenza tra donne cis e donne trans, differenza che secondo loro le donne trans rifiutano di riconoscere. Queste affermazioni sono incredibilmente frustranti. In vita mia non ho mai sentito una donna trans affermare che le nostre esperienze sono al 100% identiche a quelle delle donne cis. E il fatto stesso che noi nella nostra comunità transessuale descriviamo le persone come "transgender" e "cisgender" dimostra che riconosciamo potenziali differenze!

Il problema non è che noi donne trans rifiutiamo di riconoscere ogni differenza, ma è piuttosto chi argomenta che "le-donne-trans-non-sono-donne" a rifiutare di riconoscere le molte cose che abbiamo in comune.

 

Ci fu un tempo negli anni '60 e '70 in cui molte femministe eterosessuali volevano escludere in egual modo le lesbiche dalle organizzazioni delle donne e dal femminismo. Le giustificazioni che apportavano erano stranamente simili alle argomentazioni "le-donne-trans-non-sono-donne": loro accusavano le lesbiche di essere "oppressivamente maschili" e di "rinforzare il sistema di classe sessista" (si veda il thread di Twitter prima citato). Se guardate la voce Wikipedia che ho messo più in alto in questo paragrafo, vedrete come le lesbiche abbiano lottato contro tali accuse.

Loro non l’hanno fatto perché pensavano di essere al 100% identiche alle femministe eterosessuali. Lo hanno fatto perché alcune femministe cercavano di escluderle dal femminismo e dalla categoria di donne. Esattamente come stanno cercando di fare contro di noi le persone che sostengono le argomentazioni "le-donne-trans-non-sono-donne".

Le donne trans sono donne. Non saremo "esattamente come" le donne cis, ma ripeto, le donne cis non sono tutte identiche l’una con l’altra. Ma quello che condividiamo è che tutte noi ci identifichiamo e muoviamo nel mondo come donne. E a causa di ciò tutte ci confrontiamo regolarmente con il sessismo. Questo è quello su cui dovremmo focalizzarci lavorando insieme per questa sfida.

Come ho già detto, costringere le donne trans in gruppi separati dalle donne cis non aiuta in alcun modo a raggiungere lo scopo principale del femminismo, che è quello di porre fine al sessismo. Di fatto serve solo a indebolire la causa che abbiamo in comune.

Una versione di questo articolo è apparsa su Medium. Maggiori informazioni sugli scritti di Julia Serano sul suo sito web:

Julia Serano

 

(*) originale qui

https://medium.com/@juliaserano/debunking-trans-women-are-not-women-arguments-85fd5ab0e19c

Nella versione originale si trovano molti rinvii a link esterni, per la visione di essi rimandiamo quindi all’originale.

Traduzione a cura di Silvia Molè, Antonella Piazza, Daniel Ephel

358. Fallacia della similitudine estesa

Fallacia della similitudine estesa. 

 

Di Fabio Rossi

 

Si definisce "fallacia della similitudine estesa" il ragionamento, o discorso, nel quale vengono impropriamente accostati due concetti simili per alcune caratteristiche ma cercando di attribuire all'uno anche le caratteristiche dell'altro per le quali i due concetti in realtà differiscono.

Sappiamo dalla geometria euclidea che due poligoni possono essere uguali, simili o semplicemente differenti.

Saranno uguali se e solo se saranno uguali tutti i loro componenti, angoli, lati, diagonali, superfici.

Il concetto di similitudine implica pertanto, al contrario del concetto di uguaglianza, delle disuguaglianze.

Allo stesso modo due concetti simili possono essere accostati solo per la caratteristica che li accomuna.

Un esempio evidente di fallacia della similitudine estesa è il cavallo di battaglia di certa destra xenofoba: "chi viene a casa nostra deve rispettare le nostre tradizioni".

È un discorso tanto persuadente quanto fallace.

Infatti, seppure il concetto di Patria o Nazione ha molti aspetti in comune con quello di casa come l'appartenenza o il fatto di costituire in entrambi i casi il luogo in cui si vive è differente per una caratteristica fondamentale: la proprietà. Mentre la casa/abitazione/domicilio costituisce proprietà privata e rientra nell'ambito del diritto privato la Nazione è bene pubblico che rientra invece nell'ambito del diritto pubblico, con le differenze che ne conseguono.

Più precisamente la Costituzione recita:

"Art. 42

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti[...]"

Inoltre, Secondo la nozione dell'art. 832, la proprietà è "il diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico."

Per quanto riguarda invece il concetto di Nazione, essa è un bene pubblico o quanto meno un insieme di beni pubblici che, in quanto tali, prevedono la non escludibilità nella fruizione.

Le implicazioni della confusione fra i due ambiti sono evidentemente gravi, costituendo ideologicamente una "espropriazione" di ciò che è di tutti a favore di una parte.

Anche la seconda parte dell'affermazione riportata in esempio pecca della stessa fallacia:"...deve rispettare le nostre tradizioni". 

Innanzi tutto va notato che il termine "rispettare" genera confusione per le possibili interpretazioni. Rispettare nel senso di non arrecare offesa o di osservare?

Nel primo caso non è chiara la necessità statistica di un discorso del genere, nel secondo si dovrebbe notare che il dovere di rispetto, inteso come attiva osservanza è riferibile solo alle leggi dello Stato.

Ovvero, sotto l'aspetto linguistico, si "rispettano" le tradizioni e si "rispettano" le leggi(similitudine) ma mentre il rispetto delle tradizioni è volontario e facoltativo il rispetto delle leggi è obbligatorio.

Attribuire obbligatorietà al concetto di rispetto delle tradizioni sarebbe, ancora una volta, pericoloso per la democrazia. Cosa implicherebbe infatti l'imposizione di tradizioni,ad esempio, religiose come battesimo, matrimonio, ecc? Senza giri di parole una dittatura.

 



 

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