317. Uccideresti l'uomo grasso?

       


Semplifichiamo e sintetizziamo qui  al massimo il tema centrale dello splendido testo “Uccideresti l’uomo grasso?” di David Edmonds (Raffaello Cortina Editore).

Si diano due casi come da immagini qui allegate. La maggioranza (e anche io) pensa ancora che sia giusto deviare il treno nel Ramo deviato, e sbagliato uccidere l’uomo grasso. E questo divario, con solo lievi variazioni, esiste tra tutti i gruppi di persone, in tutte le culture. Ciò ha portato a una nuova ipotesi. I problemi del carrello possono indicare che la moralità umana è innata e che, per esempio, la Dottrina del duplice effetto, esposta per la prima volta quasi mille anni fa da San Tommaso d’Aquino, è cablata in noi.

Gli utilitaristi direbbero che sia giusto sacrificare l’uomo grasso, essi respingono l’idea che ci possano essere differenze intrinseche, non prendono sul serio la differenza tra intenzione e previsione, azione e omissione, fare e permettere, doveri negativi e positivi (gli obblighi negativi sono i doveri di non interferire nella vita di altre persone, per esempio uccidendole! Gli obblighi positivi sono i doveri di aiutare gli altri). Un esempio parallelo a quello dell’uomo grasso è il seguente: un chirurgo che per salvare 10 persone decida di uccidere un uomo sano per prelevarne gli organi (il dovere di salvare le vite di 10 persone è in conflitto e superato dal dovere negativo di non nuocere ad un paziente sano).

 Philppa Foot argomenta a mio parere in modo abbastanza convincente nel seguente modo: “L’esistenza di una morale che rifiuta di sanzionare il sacrificio automatico di uno per il bene di molti assicura a ogni individuo una sorta di spazio morale, uno spazio che gli altri non sono autorizzati ad invadere (…) Sembra definire una sorta di solidarietà tra gli esseri umani, come se ci fosse un qualche senso in virtù del quale nessuno deve schierarsi contro uno dei suoi compagni di umanità”

La seguente è una delle ultime pagine, e fa molto riflettere, per diverse implicazioni in essa contenute. La riporto in modo completamente "neutro":

”La scienza ci offrirà presto un vertiginoso buffet di possibilità di miglioramento: miglioramento fisico, potenziamento cognitivo, miglioramento dell’umore. Alcuni farmaci sono già disponibili (..) Ancora più controverso del cambiamento dell’umore, però, è il “miglioramento della morale. L’influenza dei genitori in particolare, ma anche di amici, di insegnanti e della società più in generale resta la leva più efficace per agire su atteggiamenti e comportamenti. Ma non sarà necessariamente sempre così. La nostra conoscenza dei fondamenti chimici e biologici coinvolti nelle nostre valutazioni etiche è appena agli albori, ma è in rapido progresso.

Stiamo iniziando a comprendere il ruolo e l’impatto di sostanze chimiche naturali come l’ossitocina, il testosterone, la vasopressina, la serotonina e la dopamina. Grazie alla manipolazione delle quantità assorbite dal corpo umano, psicologi, medici e filosofi stanno scoprendo come queste sostanze chimiche alterano il comportamento, come cambiano l’atteggiamento verso il rischio, la negoziazione, la contrattazione e la cooperazione, oltre che il livello di controllo degli impulsi e la gratificazione suscitata da una ricompensa. Per non dire dell’atteggiamento verso il sesso e l’allevamento della prole (…) Nell’arvicola delle praterie il partner di accoppiamento è una causa del piacere, e quindi si forma un legame tra la coppia. Nell’arvicola di montagna invece i recettori si trovano in una parte diversa del cervello, quindi l’accoppiamento non produce la stessa coazione a formare una coppia. Ma con l’introduzione di un solo nuovo gene, un gene che influenza i recettori della vasopressina, gli scienziati sono riusciti a trasformare le arvicole di montagna in amanti fedeli (…) "

Modificare i comportamenti e i giudizi etici con sostanze chimiche non è più un’ozione limitata al mondo degli scrittori di fantascienza (…)

316. Animali fuori dalla Costituzione?



Le argomentazioni riportate nell’articolo “Animali fuori dalla Costituzione”, pubblicato qualche giorno fa dal Sole24ore, paiono non valide al fine di negare fondamento a quanto proposto dal movimento “La coscienza degli animali” e dalla Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente, ovvero: “Siamo convinti che sia finalmente arrivato il momento di accogliere, tra i beni e i valori tutelati dai principi fondamentali della nostra Costituzione, l’ambiente, gli ecosistemi e gli animali in quanto esseri senzienti, capaci cioè di provare piacere e dolore e come tali degni non solo di rispetto ma anche di una diversa considerazione giuridica” (tra i firmatari mi risulta anche il dott. Veronesi).

L’articolo citato presenta nella sua parte iniziale non tanto una serie di paradossi quanto una serie di “horse laugh” e “pendii scivolosi” da manuale nonché una mirabile sintesi di tutti gli argomenti retorici impiegati non in ambienti accademici bensì sui social network da persone prive di un corretto armamentario logico (insetti, vegetali e simili amenità). La “risata del cavallo” consiste nel trasformare l’argomento dell’interlocutore in barzelletta, facendo leva su una reazione emozionale da parte del pubblico indotto quindi a confrontarsi con aspetti divertenti e contrari al senso comune, che però nulla hanno a che fare, logicamente, con l’argomento proposto, spesso mostrato in maniera estremamente semplificata. Siccome sarebbe troppo oneroso prendere in considerazione tutte le argomentazioni fallaci proposte, evidenzierò l’argomento del peschereccio “attraccato in porto per tutelare gli ecosistemi”: è possibile pescare anche senza distruggere un ecosistema, anche se una tecnica di “pesca” che ricorra ad esplosivi o il pescare in zone protette potrebbe certamente, a breve termine, essere fonte di maggiori “guadagni”: in questo senso non sempre profitto e progresso coincidono, qualora si accetti come premessa l’importanza della biodiversità.

Con una menzione a livello costituzionale non si farebbe quindi altro che ribadire, in tutta la sua importanza, ciò che è ormai universalmente riconosciuto (tranne evidentemente in qualche anonimo angolo della Sapienza). Interessante assai anche l’argomento del concime animale e dell’insetto (che potrei accettare con un sorriso su una pagina Facebook ma non in un articolo di provenienza accademica), che qualsiasi lettore con licenza elementare potrebbe facilmente individuare quale esempio della fallacia del “pendio scivoloso” per proprio conto. L’argomento dell’insetto si trova spesso sui social per delegittimare posizioni etiche vegetariane e poggia anche sulla fallacia del nirvana, per cui, al fine della coerenza sarebbe sensato poter uccidere tutti gli esseri animali qualora non sia al momento possibile risparmiarli tutti. Eppure esistono i GRADI, ed è proprio attraverso i gradi che la nostra società si evolve e si è evoluta (si veda la storia dei diritti, da quelli degli schiavi a quelli delle donne a quelli dei bambini a quelli degli omosessuali fino ad arrivare agli animali non umani, come l’autore stesso dell’articolo sottolinea – !!! – ricapitolando egli stesso la legislazione in merito nel corso del tempo).

Ma veniamo al dunque, perché assistiamo al continuo evolversi a livello legislativo di tutele a favore degli animali non umani? Perché la scienza ovvero la moderna etologia ha fatto definitivamente fuoriuscire gli animali non umani dallo status cartesiano di macchine biologiche, la qual cosa ci costringe a rivedere in modo radicale il nostro rapporto con essi: forme “elevate” di altruismo (persino negli “schifosissimi” ratti), complesse forme di intelligenza, emozioni, trasmissione culturale, complessi linguaggi, capacità di provare dolore fisico e psichico, e molto altro ancora, ci costringono a mettere in discussione ogni forma di sfruttamento animale che non sia necessario alla nostra sopravvivenza. A meno di essere dell’avviso che come figli unici di Dio tutto ci sia permesso (ma non lo pensano neppure i cattolici), in quanto ontologicamente diversi. A meno di trarre il fondamento dell’etica dalla volontà del più forte: faccio così perché mi fa comodo e perché posso. Sulla base di queste premesse si può facilmente capire come il fattore “economico” ( rilevante anche al tempo della schiavitù, o delle conquiste coloniali, immagino), nell’articolo ampiamente enfatizzato, non possa più essere il medesimo per quelli che oggi sappiamo non essere cose. Vale a dire, qui entra in gioco non solo la biodiversità ma anche l’individualità di quelle che non sono macchine biologiche dotate di meri istinti, come si voleva secoli addietro.


Sulla Costituzione: questa mi pare indichi dei principi riconosciuti come universalmente validi, a prescindere dalla loro immediata applicabilità in ogni singolo caso. Indica anche delle mete alle quali tendere.

Basti pensare al lavoro: il fatto che molti oggi non abbiano un lavoro non dovrebbe indurre a pensare che la Costituzione sia insensata o vada cancellata in questa sua parte. Introdurre il principio generalissimo della “tutela” servirebbe di fatto a ribadire anche a livello costituzionale quella meta alla quale di fatto nella nostra società già si tende, a sottolinearne l’importanza. L’autore stesso cita Germania (***) e Svizzera, paesi non proprio barbari, che si presentano quindi come motori di progresso. L’autore, che pare non considerare gli italiani capaci di intendere e volere, mescola poi con una superficiale esposizione temi diversi tentando un impossibile livellamento e cercando di convincere il lettore che alla base di talune posizioni vi sia solo l’“irrazionalità”: ma questo significa banalizzare e semplificare, trascurando diverse implicazioni alla base di esse.

Sulla delicatissima questione della sperimentazione animale: anche qui, per i motivi esposti, la meta è chiara, e il progresso inarrestabile: per gradi si è infatti giunti alla formulazione del tutt’altro che irrazionale principio delle 3R: «Replace, Reduce, Refine» alla quale certo non ha contribuito chi ancora cartesianamente ragiona in meri termini di import/export e carne al chilo. L’autore operante alla Sapienza, quindi, pare chiedersi, ma dove finiremo mai di questo passo? (e di certo il percorso non è concluso):

Penso che una bella risposta gli possa essere offerta da Norberto Bobbio in questi termini:

“Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali di disuguaglianza: la classe, la razza ed il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare e poi nella più grande società civile e politica è uno dei segni più certi dell’inarrestabile cammino del genere umano verso l’eguaglianza. E che dire del nuovo atteggiamento verso gli animali? Dibattiti sempre più frequenti ed estesi, riguardanti la liceità della caccia, i limiti della vivisezione, la protezione di specie animali diventate sempre più rare, il vegetarianesimo, che cosa rappresentano se non avvisaglie di una possibile estensione del principio di eguaglianza al di là addirittura dei confini del genere umano, un’estensione fondata sulla consapevolezza che gli animali sono eguali a noi uomini, per lo meno nella capacità di soffrire? Si capisce che per cogliere il senso di questo grandioso movimento storico occorre alzare la testa dalle schermaglie quotidiane e guardare più in alto e più lontano”.

(***)

http://www.tierschutzbund.de/grundgesetz.html (nell’articolo viene sottolineato come l’introduzione nella Costituzione tedesca della protezione degli animali non abbia rivoluzionato i sistemi attuali ma non costituisca neppure una vuota retorica, in quanto lo Stato si impegna in tal modo ad attribuire ad essa il massimo valore possibile, offrendo anche maggiori possibilità di azione nei confronti di coloro che prevedono l’utilizzo di animali nell’ambito delle proprie attività.

 

315. Uomo di latta e uomo di paglia

di Alessandro Tavecchio


Riportiamo qui un estratto dell’articolo di Alessandro Tavecchio “La strada per l’inferno è lastricata di mattoni gialli(***):

"La maggior parte delle persone che visita questo blog (***)  è probabilmente familiare con il concetto di strawman, tipicamente reso in italiano con l’agghiacciante traduzione a stampo “uomo di paglia” al posto del più elegante “spaventapasseri”; è quella fallacia logica informale per cui invece di “attaccare” la posizione del proprio “avversario” in un dibattito, gli si attribuisce una posizione o argomentazione che l’altra parte non ha mai sostenuto, ma in modo che sia abbastanza simile da ingannare i tordi. (…)Al contrario di molti, che trovano gli strawman particolarmente insopportabili, o perniciosi, o fastidiosi, non credo che nella maggioranza dei casi gli spaventapasseri siano un grosso problema. In primis, perché, almeno nei circoli in cui giro io, ormai tutti sanno cos’è e non aspettano altro per attribuire questo sofisma agli avversari e ottenere una vittoria per squalifica; in secondo luogo perché, tipicamente, quello che succede dopo che viene eretto un uomo di paglia è il precipitare frettoloso della discussione verso ingiurie varie e accuse di disonestà; e infine perché, forse per ingenuità, forse per paranoia, tendo sempre ad assumere che quando una persona prende le mie parole e ci ricostruisce un fantoccio di fieno completamente diverso lo faccia perché non ha veramente capito niente di quello che sto cercando di dire, e non perché sta disperatamente cercando di guadagnare punti retorici.

Ma nella terra di Oz si aggirano creature ben più dannose di poveri spaventapasseri senza cervello: sto parlando del terribile uomo di latta. L’uomo di paglia è un’argomentazione terribile che nessuno ha mai avuto intenzione di sostenere, che viene inventata soltanto perché l’altra parte abbia qualcosa di semplice da sconfiggere. L’uomo di latta è un’argomentazione terribile che è sostenuta solo da un numero non rappresentativo di persone, che viene tirata in ballo di modo che la controparte abbia qualcosa di semplice da sconfiggere. (…)

La maggior parte delle persone molto religiose che conosco sono perfettamente sane, razionali, moderate, e amano particolarmente i giochi da tavolo: tranne su un numero ben limitato di argomenti non c’è nessuna ragione di conflitto (A meno che non mi costruiscano la Gilda degli Scienziati a 7 Wonders prima di me: lì son cazzi amari).

Diciamo però che un giorno mi sveglio e voglio essere polemico. Vado sulla mia bacheca di Facebook (agorà intellettuale della nazione) e scrivo:

 Sono orgoglioso di essere ateo quando vedo come si atteggiano certi cristiani. Pensano di essere più morali e superiori a tutte le altre religioni, e hanno degli atteggiamenti retrogradi e oscurantisti nei confronti dei diritti delle donne. Gente orribile

Qualche cristiano si sente chiamato in causa e reagisce male, perché si sente accusato di una cosa che effettivamente non è. Il fatto che io abbia usato la parola certi e specificato determinati comportamenti, che deo gratia non si riscontrano nei credenti con cui mi mischio, non è sufficiente a isolarmi da possibili (più o meno giustificati) improperi.
Non ho ancora eseguito questo esperimento empiricamente, ma dubito che la prima risposta sarebbe “ Sì, prego, continua ad odiare questa gente cattiva ipotetica tra cui io non figuro, ergo non mi sento tirato in causa”. Anzi, vista l’accanita vena argomentativa e l’istruzione elevata della gente con cui normalmente mi mischio, mi aspetto che entro il quinto commento compaia la prima accusa di strawman.

Ma non è uno strawman (…) esiste (…)  un numero limitato di persone, non rappresentativo della gente con cui ho a che fare io, ma che esiste comunque; e non è così difficile vederci dietro un “ti piace vincere facile? Ponciponcipopopo’” nella mia scelta di isolare il peggio del peggio (…) Non c’è nessuna implicazione da nessuna parte in questa dichiarazione che dice che questo genere di persone è tipica, quindi non è un problema, no? Giusto? Eh, non proprio. Perché se una affermazione così, fatta nel nulla, può essere un tentativo di centrare una discussione (Che inevitabilmente potrà al massimo essere “venite amici miei atei a ridere di questi poveracci che tanto non corrispondono ad una persona con cui abbiamo realmente a che fare” per sentirci tutti più uniti nel giusto), farla in un contesto significa ri-centrare una categoria (…)

Se mi sono spiegato abbastanza bene, sicuramente avete in mente un sacco di esempi di uomini di latta nei campi più disparati.
Vuoi prendertela coi Veg*? Tira fuori i fruttariani che picchettano i banchetti di Telethon e mi mandano minacce di morte quando scrivo di sperimentazione animale. Vuoi prendertela coi pro-SA? Vai a prendere quelli che fanno della Reductio ad Hitlerum un’arte e vogliono togliere l’assistenza sanitaria a chi non è d’accordo con loro. Vuoi prendertela con le femministe? Trova le accademiche radicali che sostengono che la scienza è maschilista perché l’atto della scoperta è una penetrazione (quindi maschile) nel velo della natura (femminile). Vuoi prendertela con la sinistra? Il tuo riferimento da smontare deve essere l’opinione dei veterostalinisti-leninisti con il poster di Mao. Vuoi prendertela con la destra? Vai ai leggere i blog dei fasci, dopodiché fatti un fake e trolla su stormfront. Di occasioni il web è pieno. (…)

(***) 

http://prosopopea.wordpress.com/2014/12/22/la-strada-per-linferno-e-lastricata-di-mattoni-gialli/

 

314. Fallacia della Piccionaia




LA FALLACIA DELLA PICCIONAIA (O DEL MALPENSANTE)


Ritengo che vittime di questa fallacia siano forse tutti i politici del mondo per mano delle rispettive opposizioni…

(da “Cattive Argomentazioni, Come riconoscerle” di Calemi/Paoletti, Carocci Editore, pag. 43/44)

(…) si assume ingiustificatamente che le cose debbano essere valutate in base a un numero limitatissimo di categorie dalla connotazione negativa. Questa fallacia è abilmente denunciata in un celebre passo dell’evangelista Luca:

E’ venuto Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: è indemoniato. E’ venuto il Figlio dell’Uomo, che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone.

In base alla mentalità smascherata da Luca, che personaggi – per molti versi scomodi – come Gesù di Nazareth o Giovanni il Battista si astengano dal cibo o che non lo facciano, finiscono comunque con l’essere considerati in modo negativo. Questo naturalmente falsifica la natura della questione. Consideriamo un esempio di Gula (2007) per illustrare ancor più il punto: supponiamo che il Professore X sia prolifico dato che pubblica ogni anno molti articoli e testi. Un suo collega potrebbe giudicarlo al modo che segue:

Il Professor X deve essere un frustrato: ogni anno pubblica innumerevoli articoli, quasi in maniera ossessiva, come se volesse sublimare una mancanza. Poveretto.

Immaginiamo ora cosa direbbe il collega maligno nella circostanza opposta, ossia quella in cui il Professore X pubblica poco o nulla:

Il Professor X è un perdigiorno: non pubblica mai nulla, probabilmente perché non ha nessuna idea che sia degna di essere scritta. Poveretto.

In entrambi i casi il Professor X si espone alla malignità del collega, che , a sua volta, si basa sulla fallacia della piccionaia: i fatti vengono giudicati superficialmente per mezzo di un numero  limitatissimo di categorie di riferimento, quella di “frustrato” e quella di “perdigiorno”, trascurando l’eventuale complessità della situazione. Anche in questo caso, qualunque cosa faccia, il Professor X verrà comunque etichettato in modo malevolo.

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