321. Antropomorfismo?

L’UTILIZZO RETORICO E “POLITICO” DEL CONCETTO “ANTROPOMORFISMO” E IL DOPPIO TAGLIO

Ne “La vita morale degli animali” l’etologo Marc Bekoff ha spiegato che “il motto per la continuità evolutiva tra gli uomini e gli animali è: se noi l’abbiamo, allora anche loro ce l’hanno”, aggiungendo che “a definire noi e gli altri animali è una scala di grigi, mai il bianco e il nero. E’ buffo che siamo pronti ad accettare questa continuità in fisiologia e in anatomia, ma che non riusciamo ad accettarla in campo emotivo e morale”. Già Darwin ne “L’origine dell’uomo” e con un notevole senso di ironia nei confronti degli scettici ne aveva ampiamente parlato “ (…) Il fatto che gli animali a noi sottostanti risentano le medesime emozioni che risentiamo noi stessi è tanto evidentemente fermato, che non è necessario tediare il lettore riferendo molti particolari (…). L’etologo Franz de Waal, tra i molti, ha dato parimenti contributi decisivi in questo campo di ricerca.

Eppure ancora oggi coloro che hanno fatto scelte etiche di un determinato tipo si vedono spesso confrontati con l’accusa di “antropomorfismo”. La tecnica è spesso la medesima (vale anche per altri temi): si cercano sul web le posizioni piu assurde e irrealistiche (ad esempio il racconto di un verme che cerca di salvare una formica che a sua volta ringrazia) per contestare su tale base il fondamento di tali scelte (una variante della fallacia logica dello straw man, nota anche come ricerca ossessiva della “pepita di letame” elevata a campione rappresentativo).

Il motivo risiede nel fatto che nella nostra società tendiamo ad attribuire valore agli altri esseri viventi solamente nella misura in cui essi ci somigliano (nonostante, almeno in questo caso, non dovremmo essere la misura di tutte le cose) e attribuire ad altri animali simili caratteristiche in termini di emozioni, dolore, empatia, intelligenza, socialità, linguaggio, significherebbe quindi metterne in discussione l’abuso e lo sfruttamento nei più svariati campi.

Ho trovato di grande interesse un articolo comparso sul numero di aprile di Mente & Cervello, di Simone Gozzano, che peraltro con molta stima sempre seguo. Ho trovato questo articolo per alcuni aspetti criticabile e per altri illuminante. In tale articolo Gozzano si chiede se non sia esagerato e fuori luogo parlare di empatia nel caso dei ratti (1) (in un articolo precedente si era parlato dell’esperimento del ratto altruista che preferisce liberare il compagno imprigionato che ricevere una tavoletta di cioccolata) e degli animali in generale. Si chiede perché ad esempio non si sia parlato di altruismo anche per quelle formiche che sono state osservate salvare dei conspecifici , laddove forse il tutto sarebbe semplicemente da ricondurre a meccanismi funzionali (una sorta di meccanismo naturale per favorire la prosecuzione della specie). A mio parere un errore frequente consiste nel considerare esclusivamente due categorie animali: uomo da una parte e tutti gli altri dall’altra.

Nello stesso numero della rivista Patrica S. Churcheland afferma infatti quanto segue: “la morale ha avuto origine filogeneticamente con i mammiferi. Questa classe biologica produce una prole così inetta da avere bisogno di cure parentali per molto tempo dopo la nascita. La capacità di preoccuparsi di altri – del tutto estranea al cervello rettili ano – si è dunque neuralmente attuata in un tempo relativamente breve. Dalla preoccupazione per il benessere dei figli si sono sviluppate la compassione e l’altruismo, come pure la capacità di leggere stati mentali di altri, nonché di imparare dagli altri. “ E lo stesso Bekoff si esprime in questi termini: “Definisco la moralità come un’insieme di comportamenti correlati e indirizzati verso gli altri, volti ad ampliare e regolare le complesse relazioni all’interno dei gruppi sociali”, sottolineando che sia d’accordo nel fatto che “non basti rilevare i comportamenti cooperativi o altruistici, altrimenti potremmo attribuire la moralità anche ad api e formiche .Dunque la moralità è virtù di quegli animali che “mostrano forme complesse di cooperazione. I requisiti minimi devono essere un certo grado di complessità sociale, la presenza di norme comportamentali stabilite, capacità cognitive avanzate, oltre che l’abilità di prendere decisioni basate sulla percezione del passato e del futuro”.

Sintetizzando: altruismo non è uguale altruismo, l'altruismo della formica è diverso dall'altruismo del topo che è diverso dall'altruismo del pipistrello che è diverso dall'altruismo dell'uomo. In alcune specie è dimostrato ad esempio essere associato ad alti livelli di empatia (topo) in altre no (formiche). Con ogni probabilità esso costituisce per tutte le specie un importante fattore in termini evolutivi.

Un paradosso: un nuovo recentissimo studio (2) (peraltro molto discutibile, come rilevano i ricercatori stessi) pare confermare come i ratti addirittura riconoscano le espressioni di dolore sulla faccia dei propri simili. Eppure si ama ancora parlare di antropomorfismo, laddove a mio parere, le ragioni di ciò risiedono in cause eminentemente “politiche”.

Significativo comunque come nell’articolo Simone Gozzano punti il dito su quella che definisce l’arma a doppio taglio del problema dei limiti dell’antropomorfismo. Riporto a seguito parte del passo originale, ma io sintetizzerei in questo modo: nonostante tendiamo a rivestire di valenze ontologicamente superiori il nostro agire siamo anche noi il prodotto di adattamenti in senso evolutivo:
“Da un lato siamo esortati a non usare termini psicologici laddove non ce ne sia assoluta necessità, per esempio quando osserviamo che il comportamento degli animali è insensibile a cambiamenti che sono psicologicamente importanti. Dall’altro dobbiamo chiederci se la parsimonia nell’uso dei richiami psicologici per giustificare un certo comportamento non si debba applicare anche alle spiegazioni dei nostri comportamenti, che di solito vestiamo di molta psicologia. Perché salviamo gli altri, se e quando lo facciamo? Perché potremmo essere noi nei loro panni o perché non vogliamo sentir strillare?”

Concludo con un passo molto significativo di De Waal sul tema:


"Come studioso del comportamento degli scimpanzè anche io ho incontrato resistenze a chiamare riconciliazioni le riunioni amichevoli fra ex avversari. Anzi, non avrei nemmeno dovuto usare la parola amichevole, poiché l’eufemismo comunemente accettato era affiliativo. Il termine riconciliazione era troppo smaccatamente antropomorfico. Mentre i termini correlati all’aggressività, alla violenza o alla competitività non hanno mai suscitato il minimo problema, ci si aspettava che io passassi a un linguaggio disumanizzato appena iniziavo a descrivere i rapporti affettuosi fra due animali a scontro appena concluso. Una riconciliazione sugellata da un bacio avrebbe dovuto essere descritta come un'interazione postconflittuale comportante un contatto bocca a bocca. Barbara Smiths incontroò un'analoga resistenza quando scelse amicizia come ovvia denominazione per gli intimi rapporti tra maschi e femmine di babbuino adulto. Gli animali possono realmente avere degli amici? Fu la domanda posta da colleghi che trovavano naturalissimo che gli animali avessero dei rivali.

Considerato questo doppio standard prevedo che anche il termine bonding (legame) diverrà ben presto tabù, sebbene sia stato coniato dagli etologi come vocabolo neutro per riferirsi all'attaccamento emotivo. Paradossalmente, da allora il termine è entrato a far parte dell'inglese corrente proprio con il significato che si tentava di aggirare, come nella locuzione mother-child-bound e in male bonding, mentre sta rapidamente divenendo troppo pregno di significati per gli studiosi del comportamento animale" (pag. 31, Il bene e il male nell'uomo e negli altri animali, Ed. Garzanti)

 

(1)  http://www.corriere.it/scienze/11_dicembre_09/altruismo-topi-palmarini_71ab5ad2-2283-11e1-90ea-cfb435819ac4.shtml

(2)  http://news.sciencemag.org/biology/2015/03/rats-see-pain-other-rats-faces?utm_source=facebook&utm_medium=social&utm_campaign=facebook

 

320. Origine dell'uomo

Da rimanere letteralmente a bocca aperta nel leggere questi brani tratti da Darwin, “Origine dell’uomo”. Scritto in un'epoca abbastanza lontana dalla moderna etologia cognitiva . Grandiosa è anche la valenza sottilmente ironica nell’esporre le varie questioni: il linguaggio, l’autocoscienza, il bello….Tragico che anche oggi, forti delle conferme in campo scientifico, i brani continuino a rimanere “rivoluzionari”, per talune carenze nella divulgazione scientifica.

“Mi propongo in questo capitolo di dimostrare soltanto che non v'ha differenza fondamentale fra l'uomo ed i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltà mentali… Per ciò che riguarda gli animali che stanno molto in basso nella scala, avrò da aggiungere alcuni fatti addizionali nel capitolo della Scelta sessuale, per dimostrare che le loro potenze mentali sono assai più elevate di quello che si sarebbe potuto supporre. La variabilità di queste facoltà fra individui della medesima specie è per noi un punto importantissimo, e ne darò qui alcuni esempi… Siccome l'uomo è fornito degli stessi sensi come gli animali sottostanti, le sue intuizioni fondamentali debbono essere le stesse. L'uomo ha pure comuni con essi alcuni istinti, come quello della propria conservazione, l'amore sessuale, quello della madre pel suo nato, la facoltà di quest'ultimo di poppare, e così via dicendo… Poco si sa intorno alle funzioni del cervello, ma possiamo scorgere che quanto più le forze della intelligenza sono sviluppate, tanto più le varie parti del cervello debbono essere collegate fra loro per via dell'intreccio dei più intricati canali e in conseguenza ogni parte separata avrà forse una tendenza a divenire meno acconcia a rispondere in un modo definito ed uniforme, cioè istintivo, alle particolari sensazioni o associazioni… gli animali sottostanti sentono evidentemente come l'uomo il piacere e il dolore, la felicità e la infelicità. La felicità è molto chiaramente espressa dai giovani animali, come i cagnolini, i gattini, gli agnelli, ecc., quando si trastullano fra loro come i nostri propri bambini. Anche gli insetti si divertono insieme, come ha descritto quell'eccellente osservatore che è P. Huber, che vide le formiche corrersi dietro cercando di mordersi per giuoco come fanno i cagnolini… Il fatto che gli animali a noi sottostanti risentano le medesime emozioni che risentiamo noi stessi è tanto evidentemente fermato, che non è necessario tediare il lettore riferendo molti particolari. Il terrore ha la stessa azione sopra di essi come sopra di noi, facendone tremare i muscoli, battere il cuore, rilasciare gli sfinteri, e drizzar i peli. Il sospetto, generato dal timore, è eminentemente caratteristico della maggior parte degli animali selvatici. Il coraggio e la timidezza sono facoltà che variano sommamente negli individui della medesima specie, come si vede chiaramente nei nostri cani… È noto l'amore del cane pel suo padrone; e tutti sanno che nell'agonia della morte egli accarezza il padrone; e ognuno può aver sentito dire che il cane che soffre mentre viene sottoposto a qualche vivisezione lecca la mano dell'operatore; quest'uomo, a meno di avere un cuore di sasso, deve provare rimorso fino all'ultima ora della sua vita. Come ha osservato Whewel, "Colui il quale legge gli esempi commoventi dell'amor materno, riferiti tanto spesso, delle donne di ogni nazione e delle femmine di tutti gli animali, può egli mettere in dubbio che il principio dell'azione non sia lo stesso in ambi i casi?"… Noi vediamo l'amore materno dimostrato fino nei più minuti particolari; così Rengger osservò una scimmia americana (un cebo) che stava scacciando diligentemente le mosche che tormentavano il suo piccolo; e Duvaucel vide un ilobate che lavava il viso del suo piccolo ad un ruscello. Il dolore della perdita dei loro nati è così potente nelle scimmie femmine, che fu causa certa della morte di alcune specie tenute prigioniere da Brehm nel nord dell'Africa. Le scimmie orfane venivano sempre adottate e custodite con gran cura da altre scimmie, tanto maschi che femmine… Una gran parte delle emozioni più complesse sono comuni agli animali più elevati ed a noi. Ognuno può aver veduto quanta gelosia dimostri il cane se il padrone prodiga il suo affetto ad un'altra creatura, ed io ho osservato lo stesso fatto nelle scimmie. Ciò dimostra che non solo gli animali amano, ma sentono il desiderio di essere amati. È chiaro che gli animali sono sensibili alla emulazione. Amano l'approvazione e la lode…. L'Immaginazione è una delle più elevate prerogative dell'uomo. Egli con questa facoltà unisce, indipendentemente dalla volontà, antiche immagini ed idee, e crea così brillanti e nuovi effetti. "Un poeta, siccome osserva Giovan Paolo Richter, il quale deve riflettere se farà dire di sì o di no ad un suo personaggio, il diavolo se lo porti, non è che salma inerte". I sogni ci dànno la miglior nozione di questa nostra potenza; come dice lo stesso Giovan Paolo: "Il sogno è un'arte poetica involontaria". Naturalmente il valore dei prodotti della nostra immaginazione dipende dal numero, dalla accuratezza e dalla chiarezza delle nostre impressioni; dal nostro giudizio e dal gusto nello scegliere e respingere le involontarie combinazioni, e fino a un certo punto dalla nostra potenza a combinarle volontariamente. Siccome i cani, i gatti, i cavalli e probabilmente tutti gli animali superiori ed anche gli uccelli, come è affermato da buone testimonianze, hanno sogni vivaci, e ciò dimostrano coi movimenti e colla voce, dobbiamo ammettere che posseggano una certa potenza d'immaginazione… I mulattieri del sud America dicono: "Non vi darò la mula che ha il passo più dolce, ma la mas racional, quella che ragiona meglio"; e Humboldt aggiunge "questa espressione popolare, dettata da una lunga esperienza, combatte il sistema di macchine animate, meglio forse che non tutti gli argomenti della filosofia speculativa".
Abbiamo, credo, dimostrato ora che l'uomo e gli animali superiori, specialmente i primati, hanno in comune alcuni pochi istinti. Tutti hanno gli stessi sensi, le stesse intuizioni e sensazioni, - passioni, affetti ed emozioni simili, anche le più complesse; sentono la meraviglia e la curiosità; posseggono le stesse facoltà di imitazione, attenzione, memoria, immaginazione e raziocinio, sebbene in gradi molto differenti. Nondimeno molti autori hanno asserito con insistenza che l'uomo per le sue facoltà mentali è separato da tutti quanti gli animali più bassi da una insuperabile barriera. Molto tempo fa io avevo raccolto un buon numero di cosiffatti aforismi, ma non valgon la pena di essere riferiti, perchè la loro grande differenza ed il loro numero dimostrano la difficoltà, se non l'impossibilità, del tentativo. È stato asserito che l'uomo solo è capace di progressivo miglioramento, che egli solo adopera strumenti o fa fuoco, addomestica gli altri animali, possiede proprietà, fa uso di un linguaggio; che nessun altro animale ha la coscienza di se stesso, si conosce, ha la forza di astrazione o possiede idee generali; che l'uomo solo ha il senso del bello, è soggetto a capricci, ha sensi di gratitudine, di mistero, ecc.; crede in Dio, o è fornito di una coscienza. Mi arrischierò a fare alcune osservazioni intorno ai punti più importanti ed interessanti fra questi…
Il topo delle chiaviche, o surmulotto, ha conquistato e vinto parecchie altre specie di topi in tutta Europa, in alcune parti dell'America del nord, nella Nuova Zelanda, e recentemente in Formosa, come pure nel continente della Cina. Il signor Swinhoe, che descrive questi ultimi fatti, attribuisce la vittoria del topo comune sul grosso Mus coninga alla sua maggiore malizia, e quest'ultima qualità può essere attribuita all'esercizio abituale di tutte le sue facoltà per sfuggire alla distruzione che ne fa l'uomo, tanto che quasi tutti i topi meno maliziosi o meno intelligenti sono stati successivamente distrutti da lui… Si è detto molto sovente che nessun animale adopera utensili di sorta; ma lo scimpanzé… Come osserva Horne Tooke, uno dei fondatori di quella nobile scienza che è la filologia, il linguaggio è un'arte come fare il pane o far la birra; ma lo scrivere sarebbe stato un paragone molto più acconcio. Non è certamente un vero istinto perchè ogni lingua deve essere imparata. Tuttavia differisce moltissimo da tutte le arti ordinarie, perchè l'uomo ha una tendenza istintiva a parlare, come vediamo nel balbettare dei nostri bambini; mentre nessun bimbo ha mai una tendenza istintiva a fare il pane, la birra o scrivere. Inoltre, oggi nessun filologo suppone che ogni linguaggio sia stato inventato a bella posta; ognuno si è svolto lentamente e inconsciamente mercè molti passi. I suoni prodotti dagli uccelli offrono in parecchi casi la più stretta analogia col linguaggio, perchè tutti i membri della stessa specie mandano gli stessi istintivi gridi che esprimono le loro emozioni, e tutte le specie dotate del dono del canto esercitano questa facoltà istintivamente: ma il canto attuale, e anche le note di richiamo sono imparate dai genitori o da altri parenti. Questi suoni, come ha dimostrato Daines Barrington "non sono più innati di quello che sia il linguaggio nell'uomo. I primi tentativi a cantare si possono paragonare al tentativo imperfetto di un bambino che balbetta". I giovani maschi continuano a far pratica, o, come dicono gli uccellatori, a ricordarsi, per dieci o undici mesi. I loro primi tentativi dimostrano appena un rudimento del canto futuro; ma a misura che vanno avanti nell'età possiamo accorgerci che vi riescono, ed alfine si dice che "compiono la loro canzone"… le formiche hanno nelle loro antenne mezzi notevolissimi per comunicarsi le loro idee; ciò è dimostrato da Huber, il quale ha speso un intero capitolo intorno al loro linguaggio… Da queste poche ed imperfette osservazioni concludo che la costruzione regolare e sommamente complessa di molte lingue barbare non è una prova che esse siano state originate da un atto speciale di creazione. Neppure, come abbiamo veduto, la facoltà di articolare la parola non offre in se stessa una obiezione insuperabile alla credenza che l'uomo siasi sviluppato da qualche forma inferiore… Sentimento del bello. - Questo sentimento è stato dichiarato particolare all'uomo. Ma quando noi vediamo i maschi degli uccelli sfoggiare pomposamente le loro piume e gli splendidi colori agli occhi delle femmine, mentre altri uccelli meno bene adorni non la sfoggiano così, non è possibile mettere in dubbio che le femmine non ammirino la bellezza dei maschi loro compagni… Non vi è nessuna prova che l'uomo in origine sia stato fornito del nobile sentimento dell'esistenza di un Dio onnipotente. Al contrario vi è ampia evidenza, derivata non da viaggiatori di passaggio ma da uomini che hanno vissuto lungamente presso i selvaggi, che hanno esistito e che esistono ancora numerose razze di uomini che non hanno idea di una o di più divinità, e non hanno nella loro lingua vocaboli per esprimere quest'idea. Naturalmente la questione è al tutto distinta da quella più alta, se esista un Creatore e Regolatore dell'universo; ed a ciò e stato risposto affermativamente dai più alti intelletti che siano mai vissuti.
Se, tuttavia, noi comprendiamo col vocabolo religione la fede in agenti invisibili e spirituali, il caso è al tutto diverso, perchè questa credenza sembra essere quasi universale nelle razze meno incivilite. E non vi è grande difficoltà a comprendere d'onde tal fede abbia avuto origine”

Per onestà intellettuale bisogna aggiungere quanto segue. Gli hater anti-animalisti spesso citano in immaginette ad effetto, a mo' di slogan, il fatto che Darwin fosse in qualche misura favorevole alla sa. Peccato tacciano del tutto sul profondo dilemma etico che lo attanagliava (e di cui essi sono totalmente sprovvisti, come dimostrano gli attacchi a prescindere contro ogni iniziativa di stampo animalista e la diffamazione sistematica di vegetariani e vegani) e che non prendano, appunto, in considerazione tutto il resto. Cherry picking. Difficile trovare persone che davvero abbiano letto Darwin, nonostante tutti amino citarlo.

Su Pikaia la questione:

http://pikaia.eu/charles-darwin-sulla-vivisezione-i-documenti-di-un-dibattito/

Voi chiedete la mia opinione sulla vivisezione. Sono abbastanza d’accordo che sia giustificabile per effettuare ricerche reali sulla fisiologia; ma non per una mera dannata e detestabile curiosità. È una questione che mi fa star male per l’orrore, così non dirò altra parola su questo, altrimenti non dormirò stanotte.    

Molto interessante anche questa sintesi:

http://prosopopea.com/2013/02/12/darwin-e-la-vivisezione/

Molti fattori sono entrati in gioco nel miglioramento delle condizioni degli animali e nella rivendicazioni dei loro diritti nella storia; è un peccato che l’impegno di un grande della storia come Darwin venga dimenticato. »

 

 

 

 

319. Il corpo della modernità

IL CORPO DELLA MODERNITA'



di Antonio Martone

Se ci soffermiamo su noi stessi, vediamo bene che il nostro corpo è cavo all'interno. In esso, c'è un vuoto simile (o si tratta dello stesso vuoto?) a quello che regna negli spazi interstellari.

Per evitare tuttavia che ci si riferisca ad un approccio meramente estetico alla questione, e per mostrare fino in fondo la differenza istituita dalla corporeità rispetto al pensiero logico, e dunque la sua potenza di negatività, ho preferito collegare il corpo ad una categoria antica come la filosofia stessa, e cioè quella di vuoto.

Il corpo pertanto diviene corpo-vuoto.La filosofia moderna (Cartesio per la teoria della conoscenza, Hobbes per la politica) hanno avuto un sacro terrore del misterioso corpo desiderante una volta che questo si fosse emancipato dalla teologia dei secoli precedenti. E ne hanno avuta anche dell'essere-in-comune dei corpi, vista la cupidigia di ciascuno e il conseguente quanto inevitabile conflitto anarchico in nome del potere.

Il corpo si è manifestato allora come una immensa cavità desiderante e inappagabile. Una voragine misteriosa e incolmabile.

Alla fine della teologia aristotelico-tomista, nel momento in cui ha fatto la sua comparsa (già nell’umanesimo e poi nel rinascimento), una individualità non più componibile nel grande disegno della cosmologia e dell’antropologia cristiana, la filosofia moderna si è immediatamente attrezzata per parare il colpo, poiché parecchio problematico appariva ora la modalità di come potesse darsi qualcosa come la conoscenza (Cartesio) o l'ordine politico (Hobbes).

E per farlo, ha inteso anzitutto colmare il vuoto che i corpi costituivano. Cartesio con l’Io pensante (res cogitans) e dunque con la razionalità, Hobbes affermando la riduzione ad uno (reductio ad unum) della molteplicità e differenza fra gli uomini, tutti assoggettati all’apparato statale.Dopo di allora, sia nell’uomo singolo, sia nell’intera comunità - ciò che si pretendeva intero e compatto - è rimasta tuttavia una qualche realtà non riducile all’Uno della ragione omologante. Il corpo dell’uomo e la sua voragine interiore – fatta di bene e di male, di volizioni e di desideri – non la si è potuta vincere/superare con la forza della res cogitans (cosa pensante), né con la pur leviatanica forza dello Stato.

Rimaneva pur sempre – invincibile e inafferrabile – un residuo irriducibile a qualsiasi ragione. Gìà i romantici della prima metà dell’Ottocento lo avevano capito. Il vuoto dell'animo è un abisso senza fondo - da sempre e per sempre un enigma.

Oggi sentiamo il vuoto abissale, consciamente o inconsciamente, con una intensità formidabile - così come non accadeva da millenni. Dopo cinque secoli dall’inizio della modernità, gli elementi che questa voleva sopprimere, si ripresentano ormai davanti a noi con tutta la loro forza.

Finalmente liberi dunque? No. Il corpo dell’uomo, oltre la ragione e il senso dello Stato, ha trovato altre forme nate anch’esse - spesso come figlie deformi - dalla ratio e dallo Stato: le tecniche, le mediazioni/accumulazioni finanziarie, le istituzioni transnazionali, modelli chiusi di soggettività, potentissime armi di distruzione di massa etc. etc.Tutto ciò è indubbiamente agghiacciante, ma è anche fonte di grandi possibilità. Riusciremo mai – dopo la ratio moderna, dopo lo Stato nazione - a riannettere alla nostra coscienza, altrimenti monca, la struttura originaria della nostra corporeità senza farla apparire – come è successo ai moderni – una dimensione sic et simpliciter distruttiva?I nostri problemi, in fondo, sono riducibili alle seguenti domande: saremo capaci oggi di riconoscere il vuoto in noi stessi? Come lo affronteremo? Quale "maschera" abbiamo intenzione di conferirgli? E, soprattutto, quale spazio la nostra libertà - minacciata da ogni parte dalla religione del capitale - può sperare per provvedere a tutto ciò?

 

 

318. Errore categoriale

(di David Edmonds, da “Uccideresti l’uomo grasso?”, Raffaello Cortina Editore)


"Il filosofo inglese del XX secolo Gilbert Ryle ha introdotto la nozione di errore categoriale (…)

Tuttavia la maggior parte dei neuroscettici tira freccette a uomini di paglia (…) Solo il più rozzo degli scienziati sostiene che l’attività cerebrale è la sola o la migliore spiegazione del comportamento umano e degli stati di coscienza, o che sostituisca tutti gli altri tipi di spiegazione. E’ davvero sciocco dire che la descrizione dell’essere innamorati o la spiegazione dell’ideologia politica di una persona possa essere localizzata in una particolare area del cervello. Amore e politica non possono essere ridotte a una sorta di subbuglio chimico. Un cervello si trova in un corpo. E le persone appartengono a culture e società. Una risposta al perché una persona voti democratico o repubblicano non può limitarsi a un conteggio del flipper neurale all’opera tra le orecchie.

Tuttavia essere innamorati e avere una particolare ideologia politica è impossibile senza il cervello, e i neuro scienziati stanno ora scoprendo affascinanti correlazioni tra alcuni atti, credenze e sentimenti e l’attività neurologica, una prova che non può essere respinta. Come abbiamo visto, una lesione all corteccia prefrontale ventromediale può alterare il giudizio morale. Ora sappiamo anche che la corteccia prefrontale è coinvolta nell’inibizione, e che se è danneggiata, per esempio, dalla demenza, il malato può finire per rubare davanti al direttore del negozio (…).

Analogamente i neuorscienziati stanno scoprendo sempre più cose sulle sostanze chimiche che guidano comportamenti anomali e distruttivi come le dipendenze, che si tratti di cibo, gioco d’azzardo, sesso o shopping. A essere in gioco è qui il neurotrasmettitore dopamina. Ci sono stati molti casi tragici di pazienti con malattia di Parkinson in trattamento con farmaci dopaminergici, che sono diventati incapaci di controllare i loro impulsi, tanto da perdere risparmi, carriere e matrimoni."

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