341. Nè scusa nè accusa

Né scusa Né accusa Sindrome di Asperger: Il problema non è l´etichetta, ma il modo in cui la si usa.

 Autore: David Vagni

Una panoramica senza filtri su preconcetti e pregiudizi portati avanti dai media, e non solo, riguardo l´autismo e la Sindrome di Asperger

Periodicamente i media di tutto il mondo presentano notizie su persone autistiche, spesso Asperger, geniali. Vanno all´università a 12 anni o suonano Mozart a 6 anni. Volano diagnosi per personaggi famosi della storia come Einstein o Turing o, più recenti, come Messi o Gates.

Altrettanto periodicamente sono veicolate attraverso i media associazioni negative con la sindrome di Asperger. Come è accaduto con il caso di Adam Lanza e la strage del Connecticut. Più recentemente si è parlato di stalking, con la più o meno velata accusa verso la Sindrome di essere una chiara giustificazione per comportamenti illegali o immorali.

Non è colpa dell´educazione o della società, è colpa della Sindrome di Asperger!


Tutti, o quasi, possono dormire tranquilli sapendo che loro sono diversi e non potranno mai diventare “così”.

Possono dormire tra due cuscini pensando che non c´è nulla da fare.

In fondo non si tratta di un disturbo innato?

Quando una persona non è educabile, è nata male, che può fare la società?


Escluderla per proteggersi.

Altrettanto spesso etichette come “autistico” od “Asperger” sono usate per accusare ed attaccare personaggi politici, l´ultimo caso è quello di Putin. I media americani rilasciano la notizia relativa ad uno studio della Collins commissionato dal Pentagono in cui si sospetta l´appartenenza allo Spettro Autistico di Putin.
Lo studio, indipendentemente dalla plausibilità o meno del risultato, evidenzia profonde lacune da un punto di vista scientifico basandosi su una tecnica mai dimostrata scientificamente e corredata dalla spiegazione dell´autrice secondo cui:

non possiamo essere certi, dovremmo fare una risonanza magnetica


Peccato che tutte le condizioni psichiatriche si diagnostichino solo ed unicamente attraverso l´osservazione del comportamento. Il problema maggiore però non è l´ignoranza scientifica ma il fatto che la sindrome di Asperger venga usata come arma per screditare qualcuno. J´accuse!
L´associazione è semplice:

se sei Asperger non sei attendibile, sei un pazzo”


Altrettanto spesso capita di leggere di genitori, professionisti e persone Asperger (più o meno diagnosticate ufficialmente) che dipingono la sindrome a “tinte rosa”, con un misto di amore, compassione ed idealizzazione

Gli Asperger sono onesti, sinceri, precisi. Ottime qualità, ma spesso uno stereotipo politicamente corretto per nascondere le difficoltà: puntigliosi, incapaci di mentire e rigidi. Il problema in questo caso non consiste nel fatto che alcune persone Asperger possano avere delle qualità positive, quanto dall´assunto che le difficoltà siano assolute, generali e l´unica origine delle qualità. Peccato che ho visto Asperger con tutti i pregi e tutti i difetti del mondo. Ho sentito Asperger mentire, diagnosticati da professionisti che dicono:

gli Asperger non sanno mentire


Ho conosciuto Asperger che sono ottimi psicologi, alla faccia dei deficit di Teoria della Mente!

Di fatto pensare che un Asperger non possa mentire, raggirare, fingere, essere violento, provare invidia o qualsiasi altra azione considerata negativa, significa implicitamente considerarlo incapace di volere. Considerare una persona intrinsecamente incapace di compiere azioni con intenzioni negative significa reputarla incapace di compiere azioni autodeterminate.

Questa convinzione è portata avanti da molte persone. L´anno scorso ad un importante convegno, davanti ad una platea in cui erano presenti almeno 50 Asperger, ho ascoltato la seguente dichiarazione:

I disturbi dello Spettro Autistico sono l´unica disabilità in cui il disabile non è, e non sarà mai, in grado di rappresentarsi da solo


Spesso poi le stesse persone che appoggiano tali idee portano i loro figli a votare e si arrabbiano se qualche commissione si oppone al loro ingresso nel seggio o, ancora meglio, sono felici di vedere ragazzi autistici come candidati alle elezioni

Le qualità sono tali se sono messe alla prova, se si è combattuto e si combatte per seguire un ideale, non se si compie un´azione a causa dell´impossibilità di fare altro. Sono onesto se lo scelgo consapevolmente, non se sono incapace mentire. Per fortuna questa “impossibilità” non esiste o quantomeno non esiste come descrizione prototipica dello Spettro Autistico.


La descrizione a tinte rosa, sicuramente più piacevole, idealizza gli Asperger come degli angeli, dei bambini indaco. Questa descrizione a tinte rosa in realtà significa che gli Asperger sono qualcosa di “diverso”, qualcosa che non è “noi”, dove con noi intendo l´Umanità. Come animali rari da tenere in una riserva. Questa a mio avviso è una forma di “ideologia dell´Autismo”.

In un modo o nell´altro la Sindrome di Asperger viene assunta come spiegazione globale dell´individuo che lo rinchiude in una prigione desolata o in una gabbia dorata, ma comunque impedisce di pensare ad un processo di crescita.

Da un lato abbiamo il “rispetto” assoluto della neurodiversità. Modifichiamo l´ambiente, accettiamo qualsiasi cosa. Siamo noi che dobbiamo capire questa “povera minoranza disgraziata”. Dall´altro abbiamo la “dottrina della normalizzazione” in cui al posto di rispettare le differenze individuali, ogni persona è comparata ad uno standard preconfezionato di normalità.

In questo processo dialettico tra rassegnazione mascherata da accettazione e normalizzazione mascherata da educazione, chi ci rimette non è solo la persona Asperger ma la società nel suo complesso.

 

La natura non è una scusa.

In quanto esseri umani nasciamo con un bagaglio genetico e temperamentale che deve e può essere plasmato attraverso l´educazione e la cultura. Questo non significa ignorare le differenze individuali, ma modularle affinché si adattino in modo funzionale all´ambiente sociale.

I ponti si costruiscono incontrandosi nel mezzo.
L´unico modo per educare una persona nel rispetto della sua unicità è considerarla capace di volere, includendo in qualsiasi intervento i suoi desideri, bisogni, emozioni, pensieri. Perseguendo questo obiettivo è necessario guidarla e supportarla, smussando ciò che deve essere smussato e valorizzando ciò che può essere valorizzato.

Da un lato l´Asperger è assunto come erronea spiegazione del “Male”, accostata ad eventi negativi come causa (v. caso di Lanza) o viceversa usata come arma e accusa per macchiare la reputazione di un avversario (v. caso di Putin). Dall´altro è usata come vanto o giustificazione, in definitiva come scusa per qualsiasi mancanza.

Non devo ringraziare! Sono Asperger, devi accettarmi così, non è colpa mia!

Mio figlio disturba e picchia i compagni, non è cattivo, è Asperger!


Ogni volta che usate l´Asperger come scusa per qualcosa che avete fatto, pensate a questo: state generando pregiudizio.


Comprensibilmente una mamma a me cara ha scritto che se dovesse scegliere preferirebbe vedere il figlio accostato ad Einstein o a
Messi piuttosto che a Lanza o a Putin. In fondo come giustificare l´accoglienza e l´inclusione se il figlio fosse un possibile omicida o un politico?

Qui sta la chiave del problema.

Si parla di accettazione, si parla di inclusione e si parla di neurodiversità.

Cerchiamo di scavare in profondità esplorando quanto radicate sono certe idee che non permettono di vedere con lucidità la persona dietro l´etichetta.

È giusto accettare solo ciò che porta vantaggio

È radicata nella nostra cultura l´idea che per essere accettato devo far vedere che “conviene”. In fondo questo è il motivo per cui Hans Asperger puntò molto sui talenti dei suoi bambini, per evitargli i forni crematori. Comprensibile ai tempi del nazismo, ma forse è ora di combattere questa mentalità. In un mondo in continuo fluire in cui ogni essere è interdipendente, non siamo in grado di prevedere chi e come porterà il suo contributo al futuro.

Un´etichetta descrive la persona, non servono più etichette

Altra idea radicata è che un´etichetta possa descrivere globalmente una persona. Eppure basta un rapido calcolo. Anche se consideriamo solo le caratteristiche della Sindrome di Asperger presenti in un qualsiasi test diagnostico e calcoliamo tutte le possibili combinazioni, otteniamo un numero di possibilità maggiori dell´intera popolazione umana. Ogni persona è diversa. Anche ogni persona autistica. Non esiste una singola caratteristica condivisa da tutte le persone autistiche. Questo è vero nel comportamento, è vero anche nella genetica. Cercare la causa dell´autismo o pensare di comprendere l´autismo basandosi su una persona, sono in realtà lo stesso errore: l´autismo come descrizione univoca e completa di un essere umano.

Ma allora a cosa serve conoscere l´autismo?

Conoscere l´autismo e la Sindrome di Asperger serve a comprendere tutte le persone. Se si abbandona l´idea che ci sia una distinzione netta e dicotomica tra persone autistiche e non, si può usare l´Asperger come lente, come chiave di lettura, per aggiungere qualcosa alla scoperta delle persone. Ho visto fin troppi professionisti, familiari e persone Asperger rifiutare qualsiasi comorbidità psichiatrica o leggere tutto secondo i canoni e le chiavi dell´autismo. Ho visto confondere un´ossessione per la pulizia con l´ipersensibilità sensoriale da un lato e confondere delle dispercezioni provocate dall´ansia per allucinazioni schizofreniche dall´altro. Esistono Asperger con Disturbo Ossessivo Compulsivo, esistono Asperger schizofrenici, esistono Asperger con disturbi della personalità, esistono Asperger sociopatici. Una cosa non esclude l´altra. Certo molte di queste comorbidità prendono forme diverse rispetto a quelle usuali. In realtà queste forme diverse sono semplici variazioni che possono esserci in qualsiasi persona, anche in quelle senza una diagnosi di Asperger.

Le etichette non sono descrizioni delle persone, sono chiavi di lettura del loro comportamento, da usare e comporre flessibilmente per comprendere e non per escludere o giudicare.

Per sempre

Ancora più in profondità c´è un´altra idea, nascosta e radicata. L´idea che nasciamo in un certo modo, soprattutto se siamo Asperger o abbiamo qualche altra condizione mentale e che il resto non conti nulla. L´idea che tutto sia innato, stabile, permanente.

Dalla madre frigorifero all´innatismo estremo. Da un opposto, all´altro, per la felicità di Ponzio Pilato che se ne lava le mani.

Eppure questo è contro ogni ricerca scientifica. Sappiamo ad esempio che molti bambini Asperger, ma anche autistici, hanno ottime possibilità di miglioramento. Sappiamo anche che ci sono geni molto più frequenti nelle persone con disturbo di personalità antisociale (che non è l´Asperger!) eppure non sono sufficienti per far sì che quel bambino diventi un assassino.

 

Cosa serve? L´ambiente ossia l´educazione.

Tutti sappiamo ormai che lo sviluppo di qualsiasi essere vivente dipende dall´interazione tra geni ed ambiente. Si, lo sappiamo! Ma forse è un concetto che ancora deve penetrare ed essere interiorizzato.

Un bambino con una predisposizione genetica che aumenta il rischio di personalità antisociale, se cresce in un ambiente sereno ed accogliente, se gli vengono date le regole giuste ed il supporto che merita, può diventare un adulto integrato nella società.

Il fatto è questo: se vedessi un piccolo Lanza il mio istinto sarebbe aiutarlo, non scansarlo.

Perché nessuno nasce progettato per il male. Il male è una scelta il cui ingrediente principale è l´ignoranza, ed è la società che può indirizzare verso una direzione o nell´altra.

Quindi che cosa risponderei a quella maestra che si chiede perché dovrebbe accogliere quel bambino che non si sa se è un piccolo Einstein o un piccolo Lanza?

Che il futuro di quel bambino dipende da te, non dalla neurodiversità che porta in eredità.

Qualsiasi essa sia.

http://www.spazioasperger.it/index.php?q=articoli-divulgativi&f=302-ne-scusa-ne-accusa-sindrome-di-asperger-il-problema-non-e-letichetta-ma-il-modo-in-cui-la-si-usa

 

 

 

 

 

 

 

340. Solo una moda?

di Louis Lorenz (***)

Ormai [inserire identità o altro a caso] è una moda. La bisessualità è una moda, le allergie, le intolleranze, la celiachia sono una moda, l’introversione è una moda, il femminismo è una moda, la depressione è una moda, il veganesimo è una moda, la visibilità transgender, l’autismo, tutto quanto è una moda. Perché dire che qualcosa è una moda?

È cosa nota che seguire una moda non sia  l’esempio più brillante di autonomia intellettuale o, in questo senso, anche soltanto vestiaria. Attribuire l’adeguamento a una moda a qualcuno significa accusarlo di conformismo e pensiero di gruppo, depotenziando la forza delle sue parole con una fallacia ad hominem per interposta, inconsistente argomentazione.  Ma dire che qualcosa è una moda è anche una contraddizione in termini, perché nel momento in cui un insieme di persone ripropongono acriticamente questa locuzione, l’accusa modaiola diventa essa stessa moda.  E se così è, e lo è, secondo questa logica occorrerebbe smettere di usare questa frase per non seguirla. Questo però non accade, semplicemente perché questa accusa non è nient’altro che una strategia retorica.

Banalizza la posizione e l’esperienza soggettiva dell’interlocutore/trice, che, riposizionato come moda, diviene qualcosa che non è più degno di considerazione e dibattito; lo delegittima ma legittima dialetticamente un esercizio di superficialità. Nel momento in cui si accusa l’altro di pensiero di gruppo, i riflettori si spostano sulla persona accusata, e a quel punto il centro della discussione è la presunta moda di quest’ultima, non i motivi che muovono l’accusante, il quale, con questa strategia, riesce tranquillamente a far passare in secondo piano l’ignoranza e la malafede implicita dei suoi pensieri. Infatti è impossibile che l’interlocutore che afferma ciò conosca i retroscena individuali di chiunque, per poter dire questo, perciò lo fa in base al suo preconcetto.

Prendendo in considerazione il caso in cui faccia ciò pensando a una sua conoscenza individuale, esiste lo stesso il rischio che non conosca tale persona così bene da poter davvero essere affidabile nel dire che mente o fa esibizionismo. Non è possibile fingere infatti che l’interlocutore sia immune ad antipatie e bias personali che lo spingono a non tenere conto dei fatti effettivi. E non solo: affermando ciò commette anche lo sbaglio di generalizzare, universalizzando impunemente la realtà (o la falsa realtà, distorta dalle sue meningi) del/la singolo al resto della categoria che quel/la singolo incarnerebbe. 

Occorre riconoscere l’esistenza di sessualità diverse dalla propria, adeguarsi a usanze alimentari rispettose delle altrui esigenze, accettare l’esistenza di tipologie neurologiche variegate e di vite non privilegiate, dover controbattere una qualsiasi posizione? Et voilà. Basta dire che ormai tutto è una moda, e passa la paura.

(***)

https://desmonautica.wordpress.com/2015/11/01/ormai-tutto-e-una-moda/

 

339. Istruzioni per un uso consapevole

Un bellissimo articolo (***), nel quale viene  menzionato anche  il nostro sito.

di ALESSIO GEROLA

“Quest’articolo non vuole essere l’ennesimo elenco delle innumerevoli fallacie logiche esistenti, che vi illustrerebbe il perché siano dei modi scorretti di ragionare, che vi offrirebbe i modi per individuarle a vista e stroncare sul nascere i discorsi del reo malcapitato. No, di quelli ne trovate tanti, tra cui per esempio qui trovate una sovrabbondante lista, e pure sulla cara vecchia Wikipedia, per chi desiderasse un’esplorazione un poco strutturata dei modi che abbiamo per ingannare noi stessi e gli altri. Per chi non avesse problemi con il britannico idioma, questo è un simpatico loco dove ricevere la benedizione del padre della sillogistica.

Dicevo, qui non troverete una disamina dei vari procedimenti fallaci del nostro ragionare, quanto piuttosto una serie di avvertenze sull’uso delle accuse di fallacia logica rivolte ai nostri interlocutori durante la conversazione. Sì, perché spesso il fatto di individuare una fallacia logica nel discorso di un avversario pare offrire l’ottima scusa per ignorare il senso generale delle sue tesi, abbattendo senza possibilità d’uscita tutta la sua costruzione nonché, ed è su questo che vorrei porre l’accento, sul senso generale di quello che sta dicendo. L’unica (meta)fallacia che illustrerò sarà quindi la fallacia dell’argomento invalido, in attesa di un nome più figo (volevo chiamarla fallacia dell’accusatore ma ho scoperto che esiste già). Da notare la sua mancanza sulla Wikipedia italiana, ma non su quella inglese, dove l’hanno felicemente chiamata fallacy fallacy, fallacist’s fallacy oppure con il più latino argumentum ad logicam

Invalido non vuol dire falso, appunto.

Detto in estrema sintesi, essa riguarda il fatto che un’argomentazione invalida (termine logico per “fallace”) non possiede necessariamente una conclusione falsa. Per chi avesse familiarità con le basi della logica proposizionale, questa può essere una considerazione decisamente ovvia, ma spesso ce ne dimentichiamo quando riteniamo di smontare le tesi di un avversario semplicemente facendogli notare che ha commesso una fallacia logica nel suo discorso. Sul Tubo mondiale trovate un simpatico video in inglese di Idea Channel (sì lo so che parla veloce, ma il format dei video è figo) che la illustra in breve, ma spero ciò non vi induca ad interrompere la lettura!

Dunque, per coloro cui mancasse un background in logica, provvediamo a fornire un semplice esempio ad illustrazione di quanto si sta dicendo. Prendiamo la seguente argomentazione:

1.    Prima premessa: Se piove, allora la strada è bagnata.

2.    Seconda Premessa: La strada è bagnata.

3.    Conclusione: Dunque piove.

Questa argomentazione è un esempio di affermazione del conseguente, una fallacia formale che rappresenta quindi un modo invalido di dedurre la conclusione dalle premesse. In altre parole, le due premesse falliscono nel sostenere la conclusione che si vorrebbe supportare. Si può infatti notare chiaramente l’invalidità di questa forma argomentativa, dal momento che la pioggia non è la sola causa possibile della presenza di acqua sulla strada.  Più formalmente, la struttura generale dell’argomentazione è:

1.    Se A allora B.

2.    B.

3.    Dunque A.

Si tratta di una fallacia logica dal momento che la prima premessa ha la forma di un condizionale “Se A allora B”, ovvero dato A, si dà necessariamente B, ma non necessariamente dato B si dà A. Questo perché non si tratta di un bicondizionale, in cui A implicherebbe B e viceversa.

Ora, appurato che le due premesse falliscono nel dimostrare la conclusione, questo non implica che la conclusione sia di per sé necessariamente sbagliata. Ovvero, il fatto che l’avversario commetta una fallacia di ragionamento non implica la correttezza delle nostre tesi contro le sue.

Spesso le fallacie sono genuine, ed è sacrosanto farlo notare al responsabile. Tuttavia, dal momento che con ciò non avremo provato la falsità delle sue affermazioni, vorrei invitare ad essere caritatevoli con il nostro avversario, cercando di aiutarlo anzi a ricomporre il suo ragionamento in modo più solido. Questa operazione può portare a due esiti: o le tesi avversarie si basano su quella stessa fallacia, e quindi cadono con essa, il che costringerà colui che le aveva affermate a ritrattarle; oppure le sue tesi sono state semplicemente giustificate in maniera fallace, mentre egli, magari con il nostro aiuto, può riuscire a dar voce alle intuizioni che possiede riguardo al tema di discussione e a provare a fondarle in maniera migliore, magari alla fine persuadendoci della loro ragione. E a noi non sarà imputabile alcun capo d’accusa da parte del Tribunale delle Fallacie Logiche.

Un’ultima considerazione riguardo le fallacie logiche informali, che sono quelle fallacie che non dipendono da errori strettamente logici, come sopra, ovvero errori di ragionamento basati sull’ambiguità dei termini, o su ambiti che non c’entrano nulla con il ciarlare filosofico (vedi ad baculum per esempio). Alcuni asserti possono avere la forma tipica di alcune di queste fallacie informali, tuttavia questo non implica che ne siano un caso. Ad esempio:

1.    La maggior parte delle persone ritiene che l’omicidio sia un crimine.

2.    Dunque l’omicidio è un crimine.

Questo è un chiaro caso di fallacia ad populum, ovvero il credere che basti il fatto che un’opinione sia sostenuta dalla maggior parte della gente per essere giustificata. Ora, una prima considerazione riguarda gli argomenti induttivi. Se è infatti indiscutibile che l’appello alla moda non renda una conclusione strettamente vera, è opinabile il fatto che però la premessa contribuisca a rendere quantomeno probabile la conclusione. Questo non necessariamente, ma è da tenere presente perché può essere significativo rispetto al tema.

La seconda e ultima considerazione riguarda invece eventuali premesse nascoste, che farebbero apparire fallace un’argomentazione che non necessariamente lo è – benché possiamo accusare l’oratore di pessima strategia argomentativa. Un filosofo che volesse definire ciò che è moralmente giusto in base a ciò che ritiene tale la porzione di popolazione maggiore più ampia (un esempio di utilitarismo) potrebbe sostenere l’argomentazione sopra esposta in forza della sua definizione, perché aggiungerebbe una premessa che stabilisce la connessione tra l’opinione popolare e la correttezza morale. Ora, potremmo non essere d’accordo con la sua teoria, e avremmo allora il dovere di attaccare la premessa inserita così subdolamente cercando di minare le giustificazioni che il filosofo ha da offrire per essa; certamente non potremmo però accusarlo di fallacia ad populum, dal momento che, strettamente parlando, non lo è.

Eh, talvolta…

Come già detto più sopra, la mia conclusione vuole essere insomma un invito ad essere caritatevoli con i nostri interlocutori, e cercare di capire quale tipo di tesi sostengano nonostante una più o meno accentuata incapacità espositiva, dal momento che il loro punto di vista, anche se mal argomentato, potrebbe essere corretto e alla fine convincerci della sua bontà.

Se avete la testa ancora tutta intera e riuscite a leggere queste parole vi sono grato di essere stati con me fino alla fine! Se avete commenti o domande non fatevi scrupoli, il rispetto è dovuto alle persone, non alle idee (in realtà non sono completamente d’accordo, ma è un’altra storia, per quanto riguarda la logica non fatevi problemi).

(***)

https://noteinbottiglia.wordpress.com/2015/08/08/fallacie-logiche/

 

 

338. Hater and not-me fallacy

NOT-ME FALLACY

"error of believing we're immune from thinking errors that afflict others"

A mio parere questa è la fallacia più frequente nei gruppi e nelle pagine di hater in rete (che rappresentano ormai una vera epidemia e un danno serio per l'immagine dei social).

In questi gruppi si fa leva su questa distorsione cognitiva per dare l'impressione ai propri follower di essere i più intelligenti e svegli, quelli che ne sanno di più e più di tutti gli altri.

Le cose paiono stare però diversamente in quanto generalmente in questi gruppi, spesso politici ma anche di altro genere, il target è preciso: la diffamazione sistematica di singoli personaggi o sistemi di idee attraverso lo cherry picking e la tecnica della pepita di letame (scandagliare in modo ossessivo la vita o le pagine FB di qualcuno alla ricerca di essa), attraverso i quali crocifiggere o impalare i propri "avversari".

Appare del tutto evidente che tale tecnica ponga gli autori molto al di sotto delle stesse pepite evidenziate in quanto sfugge e si desidera far sfuggire il piano generale, la visione d'insieme per un sobrio e corretto giudizio.

Il senso indotto di appartenenza ai "migliori", contrapposti a tutti gli altri "ignoranti" conduce al fenomeno della polarizzazione di gruppo (estremismi), per cui si assiste anche a fenomeni molto esilaranti dove molte centinaia di persone appongono un like a post che palesemente non colgono il senso di un fatto o di una dichiarazione. Eppure stiamo parlando dei "migliori".

Parte integrante di questo "metodo" è il cyberbullismo (che spesso avviene attraverso il ricorso sistematico alla  tecnica dello screenshot).

Come spesso dico, tutti e proprio tutti, siamo a mio avviso vittime, in una qualche misura, di una epistemic bubble. E più rifiutiamo di rendercene conto più ne rimaniamo invischiati.

(si veda anche il N. 315 e 303)

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